di David Colzi
Enrico Dini è un artista nel senso classico del termine, perché all’ostentazione e all’autocelebrazione di sé, preferisce il lavoro metodico, la ricerca e l’impegno quotidiano, con la continua voglia di mettersi in discussione.
Come spesso accade nel percorso di un pittore, le origini giocano un ruolo importante nello sviluppo di una mentalità aperta. Nato da padre fiorentino e madre veronese, Enrico è originario di Oristano, e in Sardegna ha trascorso i primi 6 anni della sua vita, prima di trasferirsi nella città della madre per gli studi, per poi arrivare a Quarrata con tutta la famiglia.«Di Verona ho amato la sua armonia; è lì che ho imparato il senso del bello. Della Sardegna invece mi porto dentro i suoi colori, l’asprezza del suo paesaggio, che sa essere essenziale, ruvido». Questi due elementi, armonia ed essenzialità, sono confluiti inevitabilmente nella sua opera; basta osservare un quadro qualunque, sia esso dipinto a olio o realizzato con materiali tridimensionali.
Nonostante tutti questi stimoli, Dini è arrivato tardi all’arte, verso i 30 anni, iniziando con colori a olio e spatola. La prima personale l’ha realizzata poco dopo, nel 1987, incitato dall’amico pittore Salvatore Magazzini: «Io avevo qualche dubbio,» dice sorridendo Dini «ma mi lasciai convincere da Salvatore, che era già un pittore esperto; fui lusingato da questa fiducia». La mostra si tenne a “La soffitta” di Millo Giannini e fu un successo di pubblico e vendite. I soggetti, in particolare nature morte floreali, già lasciavano intuire un percorso informale e poco accademico. Dini è infatti autodidatta; una scelta questa portata avanti negli anni con convinzione, per non correre il rischio di essere influenzato da una scuola o da un maestro. «Talvolta mi è costato fatica,» ammette «perché a certi risultati espressivi sono giunto in ritardo, ma sono soddisfatto del mio lavoro».
Dopo 20 anni di colori a olio, l’istinto (parte essenziale del suo essere artista) lo ha portato a sviluppare un percorso legato alla materia, anzi ai materiali di recupero, per ridargli nuova vita. I quadri vengono plasmati con legno, ferro, impasti, stucchi, cementi e infine il colore, che per Enrico Dini non è mai un vezzo, ma un elemento preciso del “racconto”. I quadri di questa nuova produzione, com’è facile intuire, sono talvolta audaci, ma a riguardo l’artista ci dice: «Il pubblico riesce a capire ciò che è fatto con il cuore e ciò che è fatto semplicemente per piacere. Ho constatato di persona che ciò che entusiasma me, incontra anche il favore della gente; penso ad esempio ad alcune opere più ostiche che nelle mostre hanno ricevuto molti complimenti».
Enrico Dini si divide tutt’oggi fra il suo lavoro di geometra in Comune, all’ufficio lavori pubblici, e la produzione artistica. Noi speriamo di vederlo presto in un’altra mostra, perché da qualche anno manca dalle scene, e di artisti seri ce n’è sempre bisogno.