Olmi 1944 – storia di una rappresaglia scampata

Olmi 1944 – storia di una rappresaglia scampata

di Luciano Tempestini

settembre 2020

“La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per poi raccontarla”. Gabriel Garcia Marquez.

Prendiamo spunto dalle parole dello scrittore e poeta colombiano Marquez, per raccontarvi una storia che non si trova sui libri di storia e che noi siamo riusciti a ricostruire solo grazie alle testimonianze di chi c’era o di alcuni loro parenti. Questa premessa è doverosa, dato che, non essendoci fonti certe, potremmo incorrere in errori o incertezze, ma certamente, vi garantiamo la nostra assoluta buona fede.

Siamo nel 1944, nella notte a cavallo fra il 30 aprile e 1 maggio, in via IV Novembre, al limite dell’incrocio di Olmi. Un soldato tedesco della Wehrmacht stava tornando al suo comando, situato presso la villa Betti in via Statale. Non sappiamo con certezza perché si fosse attardato a rientrare; qualcuno sostiene che si fosse trattenuto in un’osteria a mangiare e bere, altri invece che fosse di rientro dalla guardia alla stazione di Montale, dove sorvegliava i vagoni per i rifornimenti tedeschi. Comunque sia, quella notte incontrò alcune persone che, all’altezza del cancellino di casa Mercatanti, lo freddarono sul posto, sparandogli diversi colpi e lasciandolo riverso sulla strada, dove al mattino, alcuni residenti lo trovarono. Se qualcuno si sta domandando come mai nessuno si fosse affacciato dopo aver sentito gli spari, va detto che all’epoca si sentivano spesso colpi di arma da fuoco e la popolazione aveva imparato presto a non impicciarsi di certi fatti, per paura di essere coinvolta. Inutile dire che quella mattina la paura si diffuse rapidamente nel vicinato, perché si temevano le rappresaglie dei tedeschi, e ci fu addirittura chi propose di occultare il cadavere, gettandolo nel torrente Quadrelli, prima dell’arrivo dei soldati. Ma purtroppo il comando tedesco fu avvertito immediatamente e una pattuglia arrivò subito a raccogliere il commilitone caduto. Il comando locale, senza porre indugi, organizzò per il giorno dopo un rastrellamento nella zona di Olmi, mandando i soldati di casa in casa, e tante porte furono sfondate, dato che molti residenti erano stati avvertiti per tempo e si erano dati alla macchia. In questo caso, merita di essere menzionato il signor Donatello Mercatanti, che a rischio della propria vita, andò di famiglia per famiglia, per avvertire dell’imminente rastrellamento. A riguardo alcuni testimoni riferiscono che diversi capifamiglia, trascorsero molti giorni nascosti nei canali di scolo dell’acqua sotto il manto della strada statale. 

Così, dopo una settimana infruttuosa e senza arresti, dato che tutti gli uomini erano fuggiti, il comando locale di Olmi, in data 8 maggio, diramò il seguente comunicato alla popolazione, a firma del Capitano comandante: “Ho disposto che dal giorno 8.5.44 sia abolito il coprifuoco dalle 18,00 alle 5,00 e che lo stesso abbia luogo secondo l’orario normale. Invito tutta la popolazione civile italiana a collaborare efficacemente per l’arresto dei colpevoli del fatto accaduto tra il 30.4. e il 1.5.44. Solo così è possibile che la punizione colpisca non tutti i cittadini italiani ma solo i colpevoli”. Per far capire alla popolazione che non si stava scherzando, all’incrocio di Olmi vennero issati diversi cappi alle traverse in ferro delle persiane del primo piano di casa Mercatanti, dove oggi c’è la farmacia Raspa (foto in questo articolo), e tutti capirono che si stava per applicare la terribile legge: per ogni soldato tedesco ucciso, dieci italiani presi dalla popolazione civile, saranno giustiziati. Di quei giorni di angosciosa attesa, c’è chi rammenta che ci furono persino alcuni sostenitori fascisti che incitavano i tedeschi affinché le esecuzioni fossero eseguite al più presto, per dare una lezione alla popolazione.

Proprio quando sembrava non esserci via di uscita, intervennero due donne coraggiose: la signora Kolby Bjorg (foto in questo articolo), di origine norvegese e consorte del signor Piero Betti, il proprietario dello stabile dove era il comando tedesco, e la professoressa Gina Cateni, moglie del Mercatanti. Entrambe, dopo diversi giorni di trattative, convinsero il Comandante di stanza a Olmi che l’omicidio era avvenuto ad opera di banditi e non come risultato di un’azione partigiana, quindi non aveva senso punire la popolazione innocente. Nei colloqui diplomatici, fondamentale fu il fatto che la signora Kolby parlasse correttamente tedesco. Va comunque ipotizzato che se i soldati avessero trovato subito degli uomini dopo i fatti del Primo maggio, probabilmente non si sarebbero fatti convincere. La tragedia fu quindi scampata, ma nonostante questo, le forche con le relative casse di frutta poste sotto a mo’ di piedistallo per le impiccagioni, rimasero tanto tempo sull’incrocio, a monito per la popolazione, ma per fortuna i cappi non si strinsero mai attorno al collo dei nostri concittadini.

Questo fatto, come avrete capito, si è perso nelle pieghe della memoria perché alla fine non ci fu la rappresaglia, come è invece avvenuta ad esempio, in via dei Martiri della Libertà a Montale, dove delle impiccagioni ci sono addirittura testimonianze fotografiche. Comunque secondo noi questa storia merita lo stesso di essere raccontata, perché mette al centro il coraggio delle donne, da sempre poco citate nei libri sulla Resistenza, che, nel nostro caso, senza sparare un colpo, riuscirono a salvare delle vite, inventandosi probabilmente delle bugie perché, in diversi, sostengono che quella fu davvero un’esecuzione da parte di alcuni partigiani. Ma la verità non la sapremo mai.

Per le foto e le notizie storiche si ringrazia anche Ernesto Franchi.

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