di Carlo Rossetti
giugno 2020
Negli anni Cinquanta viveva a Quarrata Cesare Strazza, un nome che solo a poche persone, quelle ancora in vita che hanno avuto modo di conoscerlo, dice qualcosa. Aveva scelto la nostra città, dopo tanti anni passati a Milano e poi a Torino in qualità di funzionario del Dazio. Non sappiamo come sia arrivato qui in veste di sfollato nel 1943, mentre è noto che aveva preso alloggio presso la famiglia di Alfredo Venturi.
Nato a Torino, ma il dato non è certo, non aveva una famiglia propria; solo una nipote residente in quella città era l’unica parente alla quale poteva fare riferimento. Riservato, colto, non faceva vita pubblica; lo si poteva vedere soltanto quando passava ogni giorno per recarsi presso la bottega di Lamberto Prestandrea, dove andava a trascorrere il tempo riparando sveglie e grossi orologi. Era il suo passatempo e nel contempo la maniera per incontrare persone. Come avesse imparato quel mestiere non ci è noto, ma supponiamo fosse il risultato di una mente ingegnosa. Diceva che avrebbe potuto riparare anche piccoli orologi se la vista, scarsa di diottrie e corretta da un paio di piccoli occhiali indossati a metà naso, non glielo avesse impedito. Sempre con il cappello in testa, la giacca e il corpetto indossati su un’esile figura, conferivano una nota signorile in più. In inverno, per proteggere i piedi dal freddo, indossava particolari pantofole che, se non andiamo errati, si chiamavano “Mokapanto”.
Parlando con lui era facile rendersi conto della vasta cultura di cui era in possesso. Dalla musica alla letteratura, dalla lingua italiana alla storia, dalle scienze alla filosofia e in qualsiasi altro campo dello scibile. Nei momenti in cui non aveva da fare, estraeva da una tasca la Settimana Enigmistica che in poco tempo riusciva a riempire. Era il giornale che settimanalmente Alfredo Venturi gli comprava all’edicola, insieme a dei libi gialli di cui era un affezionato lettore. Nessuno avrebbe immaginato allora che Cesare Strazza, o meglio il Signor Cesare, com’era chiamato da amici e conoscenti, fosse uno dei più grandi e noti enigmisti italiani, che partecipava alla vita di riviste specializzate del settore con la pseudonimo de “Il Longobardo.”
Già all’inizio degli anni Trenta, il suo nome figurava tra i collaboratori del giornale enigmistico mensile “Iana D’Alteno”. Tanti i regali che vinceva risolvendo i più ardui rompicapo enigmistici, come ci riferisce Tina Venturi che lo ha avuto in casa mentre lei era bambina. Solo dopo molto tempo dalla morte, avvenuta nel 1955, siamo venuti a conoscenza casualmente, che uno degli anagrammi più famosi era uscito dalla sua mente. Nel campo dell’enigmistica era considerato un vero e proprio talento, tanto che esperti del ramo lo fanno rientrare nei primi cinque del Novecento. Per i non esperti diciamo che l’anagramma è un procedimento che consiste nell’utilizzare le stesse lettere di una parola o di una frase, per ottenere altre parole o frasi di senso diverso.
Ed ecco il suo gioco enigmistico che sembra sia uno dei più begli anagrammi mai composti in lingua italiana: “L’aldilà misterioso” diventa “L’assillo dei mortali”. E’ famosa anche la risposta che dà a un altro enigmista che aveva scritto l’anagramma “Il peggior dei mali – è di pigliare moglie” e al quale lo Strazza risponde fulmineo “Ed il pigliar marito – ti par l’idea miglior?” E sua è anche questa frase doppia “avevate diversi sicari – ave, vate di versi sì cari!”.
Sarebbero molti ancora i giochi da far conoscere, ma crediamo che quanto scritto a mo’ d’assaggio sia sufficiente per intuire la portata della sua mente acuta e vivace. Strazza venne sepolto a Quarrata, nel cimitero di Santallemura, di comune accordo con la famiglia Venturi che lo ospitava e la nipote di Torino, che trovò opportuno lasciare qui le spoglie, dato che in Piemonte non erano rimasti parenti. Nel 1960 a cinque anni dalla morte, la rivista enigmistica “La Corte di Salomone”, gli dedicò un intero numero, ormai introvabile. Stefano Bartezzaghi, nome di spicco nell’ambito dei giochi enigmistici, ne ha parlato molte volte su riviste specializzate, lamentandosi del fatto di non avere ampie notizie sul suo conto, alle quali ha aggiunto quelle fornite da noi. Peccato di avere conosciuto troppo tardi questo aspetto di Strazza e di non avergli potuto tributare in vita il riconoscimento che meritava. L’unico risarcimento, se è possibile chiamarlo così, è stato quello di averlo riportato alla memoria e di averne fatto conoscere a posteriori le qualità. Rievocare la figura di Cesare Strazza, oltre a essere stato un vero piacere, ci è sembrato un dovere che ci ha permesso inoltre di riallacciarci al passato, nel momento senz’altro difficile del dopoguerra. Anni diversi da quelli attuali che sono pieni di clamore e individualismo, a cui si aggiungono violenza e volgarità dei social. In questa società il Signor Cesare, pacato, silenzioso e garbato, non avrebbe potuto avere cittadinanza.
Si ringrazia la Signora Tina Venturi per le informazioni fornite.