di Carlo Rossetti. Ph: Foto Olympia
dicembre 2019
Una categoria professionale che negli ultimi anni è balzata alla ribalta dei media, è quella degli chef. Non cuochi come finora erano stati chiamati ma chef, termine meno usuale e più ricercato. Un numero sempre maggiore di addetti alla cucina si sono affacciati alla scena televisiva, senza tenere conto degli aspiranti cuochi che cercano, sotto lo sguardo severo di professionisti stellati, di avviarsi a una carriera folgorante nell’ambito dei fornelli. Perciò di cibo, anziché parlarne nell’ora di pranzo e in qualche altra occasione, se ne parla ora dalla mattina alla sera, più delle notizie dal Medio Oriente, del rimpasto governativo e perché no, del mancato matrimonio di Pamela Prati.
Tutto ciò come premessa, per dire che anche noi abbiamo uno chef, o meglio un cuoco che senza nessuna esposizione mediatica ha raggiunto in una vasta cerchia di amici, una notorietà considerevole. La persona di cui si parla è Mario Leporatti. Non è un professionista del mangiare perché lui cucina per diletto e per soddisfare il palato di quanti gli si rivolgono per cene o pranzi all’insegna dell’amicizia. Rifugge da tutte le ricette che non siano ispirate alla tradizione toscana e perciò non è possibile trovare nei suoi “manicaretti”, ingredienti come: la curcuma, la radice di zenzero o il salmone affumicato, che invece fanno parte della cucina sofisticata in cui si affollano i vari Cracco, i Cannavacciuolo, i Borghese e tanti altri.
Mario ha cominciato per necessità a cucinare, ma ben presto si è reso conto che poteva essere una passione da coltivare, visti i discreti risultati ottenuti tra mestoli, teglie e fornelli. Suo mentore è stato il dottor Giovanni Baldi, “che per primo ha avuto fiducia nel ragazzo”, tanto per scomodare un’espressione calcistica e che gli affidò per primo la preparazione di un pranzo da offrire agli amici del complesso musicale “I Tontorum”che ha sede nella residenza agreste “il Nelli” di sua proprietà. Il pranzo aveva lo scopo di sdebitarsi con gli amici orchestrali, perché si era appurato che il suono da loro emesso, più attinente allo schiamazzo, aveva per un’errata valutazione, un positivo effetto sugli ulivi. Da allora, sempre più frequenti sono state le occasioni in cui Mario ha dovuto confrontarsi coi fornelli. Ma c’è di più: Giovanni Baldi è diventato il suo assistente e seppur svolgendo mansioni di contorno, con la sua presenza influenza favorevolmente il lavoro di Mario. E’ l’equivalente del ferrista della sala operatoria e la sua attenta supervisione gli è servita a fargli attribuire il ruolo di “Addetto alla Piattaia”.
I cavalli di battaglia di Mario sono i sughi. Gli basta un pezzetto di carne qualsiasi per riuscire a preparare un condimento prelibato. Spazia dal vitello all’anatra, dalla pecora al cinghiale sempre con risultati eccellenti. Le lasagne, la bistecca e i fagioli all’uccelletto, sono quanto di meglio si possa desiderare. Le pappardelle e i rigatoni, sono la pasta che lui abitualmente sposa ai suoi ragù. Che cosa dire poi dei crostini di cui si abbonderebbe, tanto si struggono in bocca, se non ci fosse la necessità di lasciare uno spazio gastrico alle successive carni con le quali sono stati preparati i sughi? “Cose da fare riavere un morto”, si sarebbe detto una volta. Un amico del palato, insomma. Così attraverso il passa parola, la fama di Mario è giunta ad altri gruppi di amici, che saltuariamente si ritrovano insieme per una cena. In questo modo, quello che era soltanto un passatempo è diventato quasi un lavoro, peccato non retribuito. Non sono mancati nella carriera di Mario i riconoscimenti: quelli espressi verbalmente a gran voce e l’attribuzione di premi tra i quali spicca il “Premio Massaia”, in qualità di massimo esecutore di sughi della tradizione. Riguardo al premio circolano voci che affermano non sia quello ufficiale della “Cucina tradizionale Toscana”, ma una contraffazione a opera di amici. Si tratta semplicemente di malignità scaturite dall’invidia del prossimo. Resta il fatto che anche la poesia si è occupata di lui. Ecco quanto dice “Sera d’autunno” di un palato anonimo del 900:
Se al Nelli c’è una cena / e chiamato sei a mangiare / cerca d’esser assai in vena / per poterne approfittare. / C’è quel tale Leporatti / che è un cuoco sopraffino / con il sugo ed altri piatti / vergognar fa Fagiolino. / Mentre al fuoco c’è Giovanni / tutto rosso e assai sudato / non gli importa dei malanni / pur di cuocere il brasato. / Ed infin la compagnia / tutta gente che si svaga / che fra canti e bonomia / mangia sì, perché non paga.
Perciò auguriamo a Mario di continuare su questa strada che lo porterà senz’altro a partecipare “Alla prova del cuoco”, in cui potrà finalmente presentare ricette che fanno parte del suo repertorio segreto: Rigaglie mantecate al mascarpone e vellutata di lupini romagnoli. Due delizie, credete. Al di là del tono leggero con cui abbiamo trattato l’argomento, perché cene o pranzi si svolgono sempre in un’atmosfera goliardica, va detto che Mario ha indubbie capacità nel cucinare e il pregio di attenersi alla nostra tradizione culinaria toscana, senza disperdersi in manicaretti che hanno soltanto il pregio di un aspetto pseudo-artistico una volta impiattati.