di Luciano Tempestini
marzo 2019
Per introdurre il personaggio e l’artista Giulio Gori, di Campiglio, trovo idoneo citare Aleardo Aleardi, poeta veronese del XVIII secolo, con una sua frase: Il passato deve essere la scuola dell’avvenire.
Giulio inizia raccontandoci di quando, negli anni cinquanta, appena dodicenne scendeva a piedi dalla collina di Montemagno, dove abitava con la famiglia, per raggiungere il posto di lavoro in una falegnameria a Quarrata. All’epoca i sentieri da percorrere erano molto disagevoli (il viale Europa ancora non esisteva) e il nostro giovincello aveva il suo bel daffare ogni giorno. Per pranzo, la mamma gli metteva in un tegamino di alluminio, “quel che passava in convento”, talvolta gli avanzi della cena. Durante quei lunghi spostamenti a piedi, il nostro Giulio pensava a cosa gli avrebbe riservato il futuro, perché lui di sogni ne aveva; innanzitutto avrebbe voluto studiare per diventare medico, ma le problematiche dei tempi non lasciavano scelta per la maggioranza dei giovani: bisognava trovare un lavoro per non essere di peso alla famiglia. Anche Giulio non faceva eccezioni, quindi bisognava rimboccarsi le maniche e imparare un mestiere, per avere un salario, che per quanto misero, sarebbe servito per sperare in un domani migliore. Così, più passavano gli anni e più il sogno di Giulio di studiare medicina si allontanava, ma di contro aumentava la sua abilità nella lavorazione del legno. Arriva il 1960 e il signor Renzo Frati, titolare della falegnameria dove Giulio lavorava con altri tre amici – Marcello Pretelli, Guido Guidi e Marino Galardini – propone a questi quattro giovani di rilevare la ditta. Nacque così la P.G.: storica falegnameria quarratina, tutt’oggi in attività con alcuni figli dei fondatori.
Per Giulio il legno non è stato solo la materia prima di un mestiere che gli ha consentito di raggiungere un certo benessere economico, ma anche la base per creare le sue splendide sculture a carattere religioso, con una manualità davvero eccezionale. Ne ha realizzate più di duecentosessanta, e il numero è cresciuto esponenzialmente dopo il 2000, anno in cui il nostro artista è andato in pensione; da allora si è potuto dedicare maggiormente alla sua passione. Parlando con lui apprendiamo che ha poca importanza la tipologia del legno da cui prenderà vita l’opera: che sia faggio, ciliegio, rovere, acero o qualsiasi altro legno, ciò che importa è l’ispirazione del momento unita alla propria sensibilità religiosa.
I quarratini hanno iniziato a conoscere il suo operato già nel 1997, in occasione dei festeggiamenti del Settembre Quarratino, quando il “Centro culturale Sbarra” ospitò alcune sue opere nella mostra: “Sculture lignee statue a carattere religioso”. Sul volantino di presentazione si poteva leggere: L’artista ha unica fonte della sua ispirazione soggetti religiosi. Nell’occasione furono esposte circa venti opere, tra cui: La Pietà, La Madonna di Pompei, Sant’Antonio da Padova, Il Sacro Cuore. Naturalmente non poteva mancare il protettore dei falegnami, San Giuseppe.
Un anno cruciale per Giulio è stato il 2014, dove avvennero due fatti ben distinti nella sua vita che entrambi però rafforzarono la sua fede.
Il primo fu la scoperta di una brutta malattia che lo provò fisicamente a causa delle pesanti terapie, a cui però reagì con consapevolezza e coraggio, aiutato dalla preghiera. Il secondo fatto, fu l’occasione di conoscere Papa Francesco, alla quale non rinunciò anche se debilitato dalla malattia. Sentendolo parlare di quell’incontro è palpabile la felicità che lo pervase e ricordando quei momenti unici, Giulio prova tutt’oggi una pacata commozione ripensando a quando Papa Francesco, nell’accoglierlo, gli rivolse un sorriso dandogli la mano. In quella giornata il nostro concittadino donò al Pontefice, al termine della messa in Santa Marta, una scultura di San Francesco. La visita si concluse con il pranzo in vaticano con vari prelati.
Giulio Gori avrebbe ancora tanto da dire e da ricordare, partendo dalla sua giovinezza, dalle prospettive colorate come un arcobaleno, agli accadimenti più recenti in bianco e nero. Prima di salutarci però, Giulio rivolge un augurio ai giovani che leggeranno questo pezzo, affinché non abbandonino la speranza di un futuro migliore e per far questo consiglia sempre di ricordare i propri nonni, che hanno vissuto giorni pieni di povertà e sacrifici, avendo spesso come unico conforto la Fede. Poi ognuno la strada la trova da sé, a volte con risultati inaspettati, proprio come è accaduto al nostro artista, che se magari avesse potuto studiare, oggi avremmo un medico in più, ma anche un artista in meno. E di artisti, come di medici, ce né sempre bisogno.
P.S. Nel 2011 dedicammo un articolo anche al figlio di Giulio, Leonardo, ottimo pittore. Per leggerlo, andate sul nostro sito www.noidiqua.it