di Marco Bagnoli
marzo 2019
Oggi vi raccontiamo la storia di un nonno un po’ particolare, in quanto nonno lo è stato solo per un anno o poco più. È la storia di Brunetto Bellini, classe 1893. Nasce in quel di Quarrata quando il Secolo Breve ancora doveva incominciare e vive in tranquillità la vita tranquilla che si viveva allora.
Tutto procede bene quindi, fino al 1915, quando anche per il nostro paese inizia il primo conflitto mondiale. Brunetto è richiamato e spedito sul Grappa, dove fischiano le pallottole. Gli uomini sono talmente esposti al mortale pericolo che anche un semplice bando dell’esercito può rivelarsi un valida via di salvezza. Il bando cui risponde entusiasta Brunetto è quello che consente di entrare nella pionieristica aviazione, e così si ritrova compagno nientemeno che di Francesco Baracca. Al suo periodo volatile è legato un episodio curioso della sua vita in grigioverde. Un giorno stava pattugliando il confine a bordo del suo aereo, quando vede davanti a sé un gruppo di altri velivoli. Nella convinzione di trovarsi al cospetto dei compagni che tornano dalla missione, Brunetto si dirige loro incontro per salutarli, ma questi, rivelatisi aerei nemici, lo abbattono facendolo precipitare. Illeso, deve però risolvere il problema di essere finito al di là delle linee nemiche. Non si sa bene come riesce a portarsi in salvo, ma a questo punto viene arrestato dai suoi con l’accusa di aver trasgredito agli ordini. Poco tempo è però sufficiente perché giustizia venga fatta e così Brunetto può orgogliosamente sfoggiare una medaglia per meritato sprezzo del pericolo nell’aver affrontato i nemici da solo – quando si dice diventare un “eroe per caso”…
Nell’agosto del 1918 i suoi meriti si accrescono quando diventa addirittura istruttore di volo, il Maestro Bellini, come lo chiamavano i suoi allievi. Finita la guerra si ritrova a Verona. Verona è una grande città straniera, dove Brunetto inizia a fare il saldatore in ferrovia, ma soprattutto è il posto dove conosce Dalla Val Erina, lei sì veronese doc «una bella bionda» come dice lui, testuali parole. A Verona si sposano e a Verona Brunetto diventa il secondo presidente, nel ’37, della Fratellanza, un’associazione che istituisce una delle prime casse mutua per i dipendenti delle ferrovie in difficoltà, finanziata di tasca loro da ciascun membro. Questo altruismo l’aveva già dimostrato: abitando a Montorio, la zona di Verona delle caserme, non esitava ad avvicinare quei militari in libera uscita che fossero originari delle parti sue, di Quarrata, per dare loro diciamo il benvenuto nella nuova città e un minimo di accoglienza. Questa stessa attenzione per i problemi degli altri la troveremo poi nei suoi discendenti, tutti variamente impegnati nel volontariato. A Verona, soprattutto, nascono Alfredo e Bruna, i suoi bambini.
Le cose sembrano essersi messe per il meglio quando sopraggiunge il giugno del ’40 e l’Italia entra nuovamente in guerra. Al momento tragico della guerra è legato un episodio a prima vista curioso: Brunetto era all’epoca forse controllore sempre per le ferrovie e in un ladro colto sul fatto riconosce un suo vicino di casa. Altruista come sempre lo esorta a scappare, a non farsi prendere e questi – bella riconoscenza – pochi giorni dopo lo va a denunciare. Brunetto lo vengono a prendere con i fucili, ma lui non era in casa. Appresa la novità non vede di meglio che fuggire – ma fuggire dove? A Quarrata ovviamente.
Qui in breve tempo si stabilisce con tutta la famiglia, fino al momento nel quale le ferrovie, a processo concluso, si offrono di reintegrarlo; ma ormai la sua casa era qua. Nel 1956, quando la nipote Alessandra, che ha gentilmente condiviso questi ricordi con noi, ha poco più di un anno, Brunetto muore di un male improvviso, forse a causa di qualche trascuratezza di salute, all’epoca così consueta.