di Massimo Cappelli
dicembre 2018
Guarda che non sono io quello che stai cercando
Quello che conosce il tempo, e che ti spiega il mondo
Guarda che non sono io quello seduto accanto
Che ti prende la mano e che ti asciuga il pianto […]
Se tutti noi facciamo mente locale, forse scopriamo di qualche volta che abbiamo incontrato un personaggio famoso e che, a differenza delle nostre aspettative, non ci ha dato la soddisfazione sperata provocando in noi una profonda delusione. Questi sopra sono i primi versi di una bellissima canzone di Francesco De Gregori, il famoso cantautore romano notoriamente non molto disponibile con il suo pubblico. Partendo proprio da questo suo brano, in questo “Concludendo” voglio provare a trasmettervi il mio pensiero sulla gestione della propria celebrità, sulle dinamiche che fanno muovere la creatività e sulla mania di protagonismo che oggi infondono i social network.
Il pezzo di De Gregori, a mio avviso scritto con profonda umiltà, ha per titolo “Guarda che non sono io”, e parla proprio del disagio che può provare un personaggio famoso al cospetto del proprio pubblico, evidenziando la fragilità della persona rispetto a ciò che essa rappresenta, unitamente al rischio di poter sembrare esoso e inopportuno. La questione rimanda all’intuizione pirandelliana sulla dualità “persona/personaggio”, e che in ogni individuo ci possano essere due o anche più entità. Nel caso dell’artista la cosa si accentua, poiché è assai più in evidenza il personaggio della persona: il palcoscenico e la notorietà non fanno altro che aumentare di molto questo dislivello, spesso fino al punto di annientare la personalità nei soggetti più sensibili, quindi provocarne il disagio. Un attore famoso, per esempio, che col tempo si è cucito addosso un personaggio ma che ha fatto anche moltissime altre belle cose, è normale che si irrigidisca se viene riconosciuto solo per quel personaggio. Come ad un comico quando gli viene ripetuto a non finire il suo solito tormentone, a lungo andare maledice il giorno che lo ha ideato. Per questo motivo, è consuetudine che molti artisti abbiano repulsione proprio per l’elemento che li ha portati al successo. Tutto questo è umano e comprensibile, poi… c’è anche Bob Dylan che è… tutta un’altra cosa.
Ma veniamo alla natura di un artista, agli elementi che la compongono e a come, secondo me, nasce la creatività. Michelangelo diceva che il capolavoro era già dentro il blocco di marmo, lui non faceva altro che portarlo fuori. Vi è mai capitato di parlare con uno scrittore, un compositore, un cantante o un poeta? E anche… ma sì, anche un pubblicitario! A me sì, e nella conversazione è venuto fuori che quel verso, quella frase ad effetto o quello slogan, sono stati solo “presi” dall’artista, esistevano già, aleggiavano nell’aria e da lui sono solo stati riconosciuti e fatti propri. Sembra strano ma è proprio così: un artista al lavoro è solo uno strumento di qualcosa che sta più in alto, qualcosa di più eccelso; quando si sprigiona la creatività è veramente un momento magico. Un artista al lavoro si estranea da tutto e da tutti, a volte entrando quasi in estasi. Si potrebbero fare molti altri esempi a riguardo, ma forse il più calzante è questo che vi riporto restando in ambito musicale. Al Festival di Sanremo (quello che tutti dicono di non seguire e tutti invece guardano) dove concorrono solo brani inediti, capita che dopo un paio di volte che si è ascoltato un brano carino e orecchiabile, ci risulti talmente familiare da farci pensare di averlo sentito molto tempo prima; ci pare che quel disco sia sul mercato da molti anni. Questo perché gli autori lo hanno “riconosciuto”, stava lì, lo hanno solo preso, era già presente nel nostro inconscio collettivo. Poi esiste anche il plagio… ma è un’altro discorso.
Se è vero che molti personaggi famosi si sentono a disagio con il loro pubblico, è anche vero che moltissime persone comuni hanno smania di protagonismo; i social network in questo danno una mano. Grazie ai social infatti ci sono state persone sconosciute che ce l’hanno fatta e sono diventate ricercatissimi influencer con decine di milioni di follower, nella moda, nella cucina o in qualsiasi altro settore, solo scattando o scattandosi fotografie con il cellulare pubblicandole poi in rete. Anche ragazzini bravi ad utilizzare i video giochi sono diventati dei famosi youtuber, che giocando e comunicando nella rete guadagnano grosse cifre di denaro. Poi ci sono (e sono i più) quelli che vogliono fare gli opinionisti a tutti i costi, quelli che si fotografano i piedi al mare, quelli che contestano tutto, che sono sempre contro e che magari hanno la lettera “H” sulle scarpe, ma non la mettono mai davanti al verbo. Quelli che si sentono leader politici o membri del Governo. Quelli che vogliono sempre apparire, apparire e apparire… senza essere. E allora scopro una bella cosa: che il titolo della canzone di De Gregori è buono anche per loro… “Guarda che non sono io”.