Introduzione Giancarlo Zampini. Intervista David Colzi
marzo 2009
Il primo ciclista che entra all’interno di “NOIDIQUA” è Fabrizio Fabbri, corridore degli anni ’70, salito alla ribalta della cronaca sportiva per essere stato un ottimo professionista. Fra le caratteristiche che lo distinguevano da ogni altro corridore, certamente la tenacia; quando dava l’impressione di avere …finito la benzina, tirava fuori dal cilindro una ulteriore riserva di energia, in tante occasioni in quantità sufficiente per vincere una gara. Fabrizio – certamente non un campione di stile in bicicletta – lo è stato invece caratterialmente, sia quando correva fra i dilettanti, sia nelle vesti di direttore sportivo.
Come e quando è nata in lei la passione per il ciclismo?
Da ragazzo, quando decisi di seguire dei miei amici che andavano in bicicletta per passione. Loro sostenevano anche delle gare, mentre io non me la sentivo ancora di “buttarmi nella mischia”… pensi che la mia grande passione era il calcio! Col passare del tempo mi resi conto che non me la cavavo male sulle due ruote, così seguendo il consiglio di alcuni conoscenti decisi di partecipare alle prime corse ciclistiche. La sensazione di gareggiare mi piacque così tanto che iniziai nel 1965 e non smisi fino al 1979.
Quando le prime soddisfazioni?
Già dalla quinta gara disputata nel 1965, quando vinsi il “Campionato toscano degli esordienti”. L’anno successivo cambiai categoria vincendo altre gare. Poi ho fatto altri tre anni come dilettante continuando ad avere soddisfazioni. A 21 anni come da regolamento di allora, diventai professionista. Ho fatto anche esperienze in ambito nazionale, vincendo per esempio tappe del Giro d’Italia, ma anche delle gare in Svizzera e Belgio.
I suoi familiari credevano in lei?
Inizialmente mia mamma non era d’accordo con questa scelta professionale, però con i primi risultati si convinse che quello poteva essere il mio futuro. Invece mio padre e le mie sorelle sono stati dei tifosi sfegatati fin dall’inizio. Quando ho formato una famiglia, ho trovato grande sostegno anche da parte loro; ringrazio quindi mia moglie Loretta ed i miei figli Francesco e Fabio.
Qual è la gara che le ha dato più soddisfazione?
Senza ombra di dubbio il “Gran Premio Industria e Commercio di Prato”, che ho vinto due volte, nel ’73 e nel ’74. Tengo molto a queste vittorie perché le ho avute tra la mia gente, vicino a casa mia; io sono nativo di Ferruccia di Agliana quindi la soddisfazione è stata davvero tanta. Come risonanza mediatica sono state fondamentali per la mia carriera il “Giro di Puglia” e il tour delle “Tre Valli Varesine”, oltre ovviamente alle già citate tappe del “Giro d’Italia”.
Invece quale gara le ha lasciato “l’amaro in bocca”?
Più che una gara andata “storta”, direi che c’è stato un anno, il 1975, in cui forse potevo farcela ad indossare la maglia rosa… ma le cose presero una piega diversa e trionfò giustamente Felice Gimondi.
Lei che tipo di ciclista è stato?
Un passista – scalatore, capace di resistenza su lunghe distanze e con una certa grinta nelle salite. Ero anche abbastanza veloce; contro 10 o 15 corridori potevo diventare pericoloso perfino nello sprint.
Che colleghi famosi ha conosciuto?
Quando correvo io ce ne erano tanti di ciclisti noti al pubblico, come Felice Gimondi, Francesco Moser, Franco Bitossi, Gianni Motta, Michele Dancelli… insomma tra gli anni ’70 e ’80 questo sport era pieno di grandi numeri uno.
Fra questi chi ricorda con particolare piacere?
Su tutti direi Francesco Moser con cui ho fatto squadra dal ‘77 al ‘79. Molti pensano che lui fosse un tipo burbero, antipatico, invece era una persona disponibile con la quale si conversava volentieri. Poi ricordo Felice Gimondi con cui sono stato in squadra nel ‘75 – ‘76. Sono stati due grandi capitani e mi ritengo fortunato ad averli frequentati.
So che ha avuto una gloriosa carriera anche come dirigente sportivo…
Vero. Sono stato per dieci anni direttore sportivo nella squadra più forte del mondo, la “Mapei”. Ora sto seguendo un nuovo gruppo insieme a dei colleghi. In organico abbiamo già dei nomi considerati promettenti, in più ci sono dei giovani di cui sentiremo parlare in futuro, perchè hanno tutte le carte in regola per diventare dei numeri uno. Io rimarrò in questo ambiente ancora per cinque o sei anni e spero di poter trasmettere ancora tanto a queste “future promesse” dello sport.
Cosa direbbe ad un aspirante ciclista?
Il problema principale per un giovane è che non ci sono spazi sicuri dove allenarsi, anche se alcune amministrazioni comunali si stanno attrezzando con piste ciclabili. Io questo sport lo consiglio a tutti, perchè a me ha permesso di viaggiare molto, conoscendo luoghi e persone. Poi le discipline sportive formano il carattere, aiutano a crescere… io sono diventato quello che sono grazie al ciclismo. Certamente per vedere i primi risultati, ci vogliono grinta, passione, gioco di squadra e tanto spirito di sacrificio.
La nostra rivista si occupa di Quarrata; cosa significa questa città per lei?
Io abito in questa città da 14 anni e mi trovo benissimo. Se devo recriminare qualcosa è inerente alla sport che amo. Infatti non mi sembra che ci sia una grossa attenzione a livello amministrativo, per quel che riguarda la costruzione di aree adibite al transito in bicicletta. Pensi alla preoccupazione di una mamma che manda il proprio figlio ad allenarsi con la paura che possa essere travolto da qualche macchina. Io credo che la nostra zona sia piena di appassionati di ciclismo, ma paradossalmente ci sono pochissimi posti in cui allenarsi. Spero con tutto il cuore che si faccia qualcosa in più per far si che i giovani continuino ad avvicinarsi alle due ruote.