di Carlo Rossetti
giugno 2018
Colui che fosse giunto a Quarrata e avesse chiesto al primo passante informazioni su Giuseppe Giuntini, si sarebbe trovato di fronte alla difficoltà dell’interpellato di rispondere, perché da noi è un nome molto diffuso. Se invece avesse chiesto di Peppe di Barafone, non ci sarebbe stata nessuna esitazione nel ricevere l’informazione richiesta; infatti Peppe era un persona molto conosciuta e in più aveva tutte quelle caratteristiche che ne facevano di lui un vero e proprio personaggio. Corpulento, volto dall’espressione intensa e mobile, possedeva il dono della simpatia che gli derivava dall’ironia e dall’insieme della sua persona.
Commerciante all’ingrosso di vini, dopo il giro giornaliero delle consegne, si ritrovava a sera con gli amici al bar Testai, punto d’incontro di buontemponi come lui. Ascoltarlo conversare insieme agli altri, era un vero spasso per le sue battute fulminanti, sottolineate da una mobile espressione facciale propria di un mimo. La signora che gestiva il bar, proveniente dall’alta Italia, dopo che Testai si era ritirato, faceva sfoggio di superiorità anche per il suo diploma liceale a cui ripetutamente accennava e velatamente cercava di prendere in giro i suoi clienti, convinta di trovarsi di fronte a gente semplice, proveniente dall’ambiente rurale. Ma aveva fatto male i suoi calcoli, perché tra gli amici che si ritrovavano al bar la sera, oltre a Peppe c’era gente vivace e spiritosa, che le rendevano pan per focaccia, con quella arguzia che è propria della gente di campagna. La signora che, nonostante l’età indossava tacchi alti, protesa in avanti e il sedere spinto all’indietro, si muoveva civettuola all’interno del bar. Fu Peppe a definirla in maniera fulminante e lapidaria «Supposta» perché specificava: «Ha il sedere a porgere». Un’altra volta commentando le fasi di una rapina avvenuta alla Banca toscana di Ferruccia, Peppe disse che se l’avesse compiuta lui non sarebbero servite le armi, perché brutto com’era, gli avrebbero portato i soldi fino a casa.
Altri momenti esilaranti sono quelli degli incontri con Vivaldo Matteoni presso l’edicola di quest’ultimo, dove Peppe andava quasi ogni sera aspettando l’ora di cena. Per cominciare, al suo arrivo, Vivaldo con voce stentorea e impostata da attore qual era, prendendo a prestito una pubblicità di quei tempi della ditta Cirio, l’accoglieva con lo slogan: «Come natura crea, Peppe consegna». Poi aveva inizio un dialogo quasi surreale. Vivaldo cercava di spiegare a Peppe certi suoi concetti e lo faceva con un linguaggio ricercato, aulico, in maniera da non farsi capire dall’amico e metterlo in imbarazzo. Gli dava del lei e tutte le volte che pronunciava una parola forbita, l’accompagnava con: «In separata sede sig. Giuseppe le spiegherò il significato del termine». Lui seguiva in silenzio l’esposizione, sottolineando con l’espressione mobile del viso e scuotendo la testa, quel linguaggio che solo in parte capiva. Solo alla fine Peppe, con calma, sguardo volutamente accigliato e contrariato, si rivolgeva a Vivaldo dicendogli di essere un rimbecillito e consigliandogli una visita dal Prof. Tobino, (direttore del manicomio di Maggiano) per farsi rimettere a posto le “varvore”, come lui diceva. E concludeva: «Sarà difficile farci qualcosa ma ti conviene provare». Insieme così, evocavano due figure tipiche del circo in antitesi tra loro: il Clown bianco e l’Augusto. Elegante il primo, vestito di bianco e cappello a cono in testa, più dimesso e semplice il secondo con bombetta e naso rosso. Ecco il richiamo, non tanto per l’abbigliamento, quanto per la supremazia dell’uno sull’altro.
Giuseppe se ne andò molto presto, a 59 anni, nel luglio del 1984. Venne così a mancare una figura caratteristica che insieme a poche altre dava colore e riconoscibilità all’ambiente, in un’epoca in cui era ancora possibile incontrarci e salutarci. Poi arrivò la globalizzazione…