di Luciano Tempestini
marzo 2022
Come abbiamo fatto altre volte in questi anni, proviamo a raccontare una storia che si ricostruisce unendo le fonti scritte ed i racconti popolari, che in quanto tali sono spesso in contrapposizione fra loro, labili come sa esserlo la memoria di ciascuno. Noi, come sempre, cercheremo di rimanere super partes, seguendo semplicemente la china del verosimile.
Ambientata a Quarrata nel 1944, questa è una brutta vicenda con una conclusione tragica: l’omicidio efferato di tre Carabinieri. Per raccontare i fatti, useremo come punto di riferimento il libro “Mio nonno era un Carabiniere” di Gianluca Messineo, edizione “Gli Ori”, che si può trovare presso il Museo Casa di Zela.
Siamo nel 1944, il 30 di aprile, una domenica come tante, se così si può dire, dato che dopo l’armistizio del 1943, l’Italia era caduta nel baratro, fra l’occupazione dei tedeschi, l’avvento dei Repubblichini di Salò e l’avanzata degli Americani da sud che ormai erano sul punto di sfondare lungo la linea Gustaf e raggiungere Roma per liberarla; come avvenne fra il 4 e 5 giugno.
Il nostro era dunque un Paese in subbuglio e i nervi erano tesi un po’ ovunque; non faceva eccezione la nostra Quarrata, dove ignoti pensarono bene di issare una bandiera rossa in località Olmi, un chiaro riferimento antifascista. Trattandosi di una palese provocazione, venne subito dato ordine di rimuoverla. Questo compito toccò a tre Carabinieri del comando di Tizzana: Sante Rufini, Giuseppe Bianchi e Marino Fantacci. Fin qui, niente di eccezionale e tutto sembrava essersi concluso con la rimozione del vessillo. La tragedia avvenne poco dopo la mezzanotte, quando i tre, all’altezza del Ponte Stella, angolo via del Casone, vennero trucidati a colpi di arma da fuoco e addirittura uno di loro, Marino Fantacci, venne finito a colpi di baionetta. Si trattò di un vero delitto, quasi certamente una vendetta per l’onta di aver rimosso la bandiera.
Grazie al libro di Messineo, possiamo leggere il verbale dell’accaduto, a firma del Maresciallo Maggiore Comandante, Verducci Marsilio: Alle ore 0,20 del Primo maggio del 1944, l’appuntato Rufini Sante, il carabiniere rich. Bianchi Giuseppe, in unione al milite della M.V.S.N. Fantacci Marino, mentre si restituivano in caserma reduci da un servizio perlustrativo, giunti nei pressi del ponte alla “Stella”, frazione di Vignole del comune di Tizzana, vennero uccisi a colpi di arma da fuoco da parte di sconosciuti appostati sulla strada Vignole – Quarrata.
Questi omicidi, vennero segnalati anche agli occupanti tedeschi che avevano il loro comando presso la Villa Betti, in via Statale di Olmi. Nel libro si legge ancora: La drammaticità dell’evento coinvolse anche le truppe tedesche dislocate nella zona, le quali diramarono tramite il Comune di Quarrata, un dispaccio, ovviamente disatteso, in cui si chiedeva la partecipazione della popolazione affinché i colpevoli fossero arrestati:
Ortskommandantur Olmi
Al comune di Quarrata C.U., 8.5.44
Ho disposto che dal giorno 8, 5, 44 sia abolito il coprifuoco dalle 18,00 alle 5,00 e che lo stesso abbia luogo secondo l’orario normale.
Invito tutto la popolazione civile italiana a collaborare efficacemente per l’arresto dei colpevoli del fatto accaduto tra il 30,4 e il 1,5,44.
Solo così è possibile che la punizione colpisca non tutti i cittadini italiani ma solo i colpevoli.
Hauptmann und Ortskommandant.
Sempre nel libro citato, estrapoliamo un pezzo dell’intervista fatta alla figlia del Carabiniere Rufini, la signora Romana, che aggiunge alcuni particolari.(…) La causa della morte di mio padre è da ricondurre a una bandiera rossa che venne esposta al centro della piazza di Olmi vicino a Quarrata (nell’attuale parcheggio sull’incrocio, dove c’è la macelleria islamica N.D.R.). Sotto vi era scritto “Chi la leva muore!” (…) Ovviamente il clima che si respirava era molto teso e una bandiera del genere avrebbe potuto innescare grosse difficoltà. Toccò ai Carabinieri andare a toglierla! (…) dopo un ordine prefettizio (…) Ovviamente nessuno si sarebbe aspettato un dramma del genere (…)
A quanto pare la signora Romana conosceva anche i nomi degli assassini e a quanto pare non solo lei, visto che nella stessa intervista afferma: (…) Qualche giorno dopo ebbero anche il coraggio di andare dalla mamma a chiedergli scusa (…) Tutti sapevano chi li aveva uccisi (…), purtroppo i documenti che riguardavano il fatto sono stati nascosti e ormai non esiste più niente (…)
Da qui in poi le ipotesi sul perché ed il per come, si sprecano. Diverse persone da noi interpellate, che erano bambini all’epoca dei fatti, ci hanno fornito le versioni più disparate: dalla teoria dell’agguato a persone sbagliate, fino al delitto passionale, passando per motivi politici. Addirittura qualcuno ha mosso il sospetto che uno dei Carabinieri fosse un delatore fascista. Tanti retroscena dunque, più o meno probabili.
A queste congetture, a suo tempo, non si sottrasse neppure il mio babbo, Giovanbattista Tempestini, che in quanto ex Carabiniere provava un certo trasporto per quella storia. In particolar modo lui non si capacitava di come il commando si fosse accanito sul giovane Fantacci, finendolo a coltellate. A riguardo ipotizzava che ci fosse stato uno scambio di persone e che i Carabinieri non fossero i veri bersagli di quegli assassini, e quindi la loro colpa era quella di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato. Anche perché, rifletteva il mio babbo, se ci doveva essere vendetta, questa si sarebbe dovuta consumare nei pressi della bandiera, come minacciato nel messaggio, e non poco tempo dopo. Chissà qual è la verità; non la sapremo mai.
Foto in questo articolo, dall’alto verso il basso: Giuseppe Bianchi e Sante Rufini.