di Carlo Rossetti
settembre 2014
“Abbassa la tua radio, per favor…”, diceva il ritornello di una canzone di Alfredo Bracchi e Giovanni D’Anzi, in voga negli anni Quaranta. A cantarla dai microfoni dell’EIAR e a farla conoscere ai radioascoltatori, furono Alberto Rabagliati e Norma Bruni, voci celebri dell’epoca. Il titolo della canzone, nota a tutti come “Abbassa la tua radio, per favor,” era invece“Silenzioso slow” e fu un clamoroso successo, ripreso successivamente dai cantanti emergenti del dopoguerra. Ci piace far conoscere un piccolo dettaglio legato alla canzone, ricordando che fu bandita dall’EIAR, in quanto ritenuta un invito larvato all’ascolto di Radio Londra, cosa tassativamente vietata dal regime. Coloro che non ne condividevano le idee, ascoltavano di nascosto l’emittente inglese tenendo il volume della radio il più basso possibile. Da questa circostanza l’ipotesi che il ritornello contenesse un invito alla prudenza e un incoraggiamento all’ascolto di Radio Londra. Già negli anni venti pochi fortunati possessori di apparecchi, potevano ascoltare le trasmissioni delle stazioni di Milano e Napoli; ma già a ridosso della Seconda Guerra Mondiale, la radio era presente in parecchie famiglie italiane. Le quali, dopo cena, riunite intorno all’apparecchio, potevano ascoltare i bollettini di informazione, le prime trasmissioni di varietà e qualche commedia. La radio ormai era entrata a far parte della vita quotidiana, diventando il primo mezzo di comunicazione di massa. Il lato romantico che la radio stessa propagandava di sé, era associato all’immagine di sartine innamorate intente ad ascoltare canzoni d’amore e a confezionare corredi da sposa. E tra una canzone e l’altra le informazioni sull’andamento della guerra. Dai suoi microfoni fu mandata in onda la prima edizione del Festival di Sanremo, evento canoro che passato poi alla televisione, avrebbe avuto risonanza internazionale. Nonostante che la televisione abbia fatto la sua apparizione verso la metà degli anni Cinquanta attirando su di sé l’interesse e la curiosità della gente, la radio può contare ancora sul gradimento che molti ascoltatori le riservano, perché conserva un fascino che la televisione non ha, perché ha una minore invadenza e lascia spazio all’immaginazione.
Questi brevi cenni ci servono per introdurre il personaggio che è un vero cultore della radio e in modo particolare, un attento e appassionato collezionista, nonché restauratore di quelle d’epoca.
Carlo Bonechi, diplomato in Elettrotecnica, ha sempre avuto il pallino per la radiofonia fin da ragazzo. Questa passione lo portò per prima cosa a realizzare un ricevitore a cristallo di galena, (da qui il nome di galena comunemente usato) con il quale riusciva a sintonizzarsi con il “primo programma” Firenze 1. Questa apparecchio costituisce uno dei pezzi più pregiati della sua collezione. Intorno agli anni ’60, iniziò a occuparsi degli apparecchi a transistor che cominciavano a fare la loro apparizione sul mercato, fino a quando in pieno clima di riscoperta del passato, non approdò alle radio d’epoca, rintracciate via via nei mercatini d’antiquariato, di cui era un assiduo frequentatore. I pezzi acquistati non erano tutti funzionanti, anzi, ai più mancavano intere parti. Si imponeva perciò il restauro, per ridare loro la voce e perché la funzione fosse ancora quella di una volta. Per far questo attrezzò un piccolo laboratorio in casa, nel quale, ora in pensione, passa buona parte del suo tempo. Il suo linguaggio tecnico attinge a termini in disuso: parla di valvole, condensatori, fusibili, richiama onde corte, medie e modulazione di frequenza. Racconta che il restauro è un’operazione particolarmente delicata che va fatta con attenzione, competenza e soprattutto difficile per la difficoltà di reperire i pezzi originali da sostituire a quelli mancanti o difettosi. «Il lavoro di restauro» riferisce Carlo «può ridare all’apparecchio l’antico splendore riportandolo allo stato originario, ma può, con un intervento non correttamente eseguito, togliergli l’autenticità di un tempo». Questa passione che non ha mai avuto cedimenti, gli ha permesso di collezionare circa 120 modelli di radio che appartengono alla storia della radiofonia e non soltanto di quella. Ha tra i suoi pezzi le famose Radio Balilla e Radio Rurale, apparecchi popolari voluti dal regime nella seconda parte del ventennio. Ma insieme a quelle ci sono esemplari delle marche Phonola, CGE, Marelli, Philips, Safar. La più vecchia è l’inglese Marconi che risale al 1923.
Sono bellissime testimonianze che Carlo ha esposto più volte in mostre allestite un po’ dappertutto, pure a Quarrata, suscitando l’interesse dei visitatori, anche per la bellezza esteriore di alcuni pezzi. Era inevitabile per un collezionista come lui, fare parte di qualche associazione del settore; infatti è iscritto all’AIRE, l’associazione italiana delle radio d’epoca, di cui è il referente per la zona di Firenze. Tale associazione che riunisce collezionisti di tutta Italia, oltre a occuparsi del restauro delle radio, promuove mostre, mercatini di scambio, ma soprattutto cerca di tenere viva la memoria di questo mezzo d’ascolto legato alla storia del passato.
L’anno scorso, il TG3 nazionale ha dedicato a Carlo Bonechi un ampio servizio televisivo, in cui ha messo in risalto la sua bella collezione, esaltando le sue capacità e l’amore che mette nel restauro di questi gioielli. Ascoltando gli apparecchi che Carlo ci fa sentire volentieri, si ha l’impressione di tornare indietro nel tempo. La ricezione, gracidante talvolta, ritrova memorie lontane con la sua forza evocatrice, come pure l’eco della guerra.
Non per questo possiamo dirgli, “Abbassa la tua radio …”, ma anzi: “Alza la tua radio, per favor”.