di David Colzi. Consulenza storica: Rosita Testai. Foto: archivio Laura Caiani Giannini
giugno 2023
Ancora una volta la grande Storia italiana del ‘900 si intreccia con quella locale della nostra Quarrata.
Tutto cominciò il 21 luglio del 1921, in un momento in cui la violenza squadrista stava crescendo in maniera esponenziale, complice anche una certa connivenza delle autorità locali e non solo. Gli assalti nelle città, nei paesi e nelle campagne erano quasi all’ordine del giorno, così come i feriti ed i morti lasciati per strada, sia da parte fascista che socialista. Fra i bersagli preferiti delle camice nere c’erano i luoghi di aggregazione della sinistra, come i circoli, le cooperative e le camere del lavoro. Presi di mira erano anche i Comuni “rossi”, dove le giunte venivano costrette alle dimissioni (si pensi ai fatti di Bologna del novembre 1920); stessa sorte toccava ai pochi tutori dell’ordine pubblico ritenuti nemici della rivoluzione fascista. Non mancarono neanche gli assalti ai luoghi dove erano detenuti gli squadristi arrestati; ed è proprio da uno di questi episodi che inizia la nostra narrazione.
Infatti all’alba di quel giorno di fine luglio arrivarono a Sarzana 500 uomini comandati da due personaggi di spicco del fascismo toscano, Amerigo Dùmini e Umberto Banchelli, con l’intento di prendere d’assalto la città e liberare alcuni camerati incarcerati nella Fortezza Firmafede, tra cui Renato Ricci, fondatore del fascio di Carrara. Questo tipo di intimidazione si stava affermando all’interno del movimento e, probabilmente, nei piani degli assalitori, tutto sarebbe filato liscio; invece, come accadde in pochi altri casi, tipo a Parma nel 1922, le cose andarono diversamente. Quando le camice nere arrivarono alla stazione di Sarzana, trovarono ad attenderli, nove carabinieri, quattro soldati aggregati e due funzionari di polizia, tutti coordinati dal capitano dei carabinieri Guido Jurgens. Dopo aver avanzato le loro richieste a Jurgens, gli squadristi tentarono di forzare lo sbarramento, ma i militari risposero aprendo il fuoco; a quel punto ci fu il fuggi fuggi generale e nello scontro rimasero a terra cinque sovversivi ed un uomo delle forze dell’ordine. Molti si diressero verso le campagne per sfuggire alla cattura, e qui vennero assaliti dai contadini che non gli risparmiarono percosse, sevizie e brutalità di vario tipo: così morirono altri fascisti, fra questi un giovane quarratino di 17 anni, Arnaldo Puggelli, che a quanto pare venne raggiunto da un proiettile a bruciapelo, mentre cercava di disarmare un uomo. Alla fine della giornata i morti di quella spedizione fallita furono quattordici.
I fatti finora elencati ci portano alla foto che appare in quest’articolo, scattata nel 1935 in piazza della Vittoria. Qui si vedono dei giovani fascisti locali che posano davanti al cedro piantato nel ’31 in ricordo di Arnaldo Mussolini, fratello del dittatore italiano, morto per un arresto cardiaco. Il gagliardetto che mostrano li identifica come appartenenti alla MCCXV Legio A.G.F. “Arnaldo Puggelli”. L’acronimo qui riportato significa: Avanguardisti Gioventù Fascista e segnalava i giovani ragazzi troppo grandi per essere inquadrati nei Balilla, una realtà quest’ultima riservata ai bambini.
L’intitolazione della Legio ci fa capire quanto fosse importante per il fascismo il culto dei caduti, che venivano mitizzati come figure epiche da prendere a modello. A riprova di quanto detto, l’Istituto Luce conserva alcune foto di una commemorazione di Firenze del 1934, dove si vedono uomini in camicia nera che portano in processione bare su cui sono adagiati drappi con i nomi dei morti della rivoluzione fascista e c’è proprio un’immagine in cui compare sullo sfondo Mussolini che fa il saluto romano alla bara con su scritto: “Arnaldo Puggelli”. Sempre per capire l’importanza dei simboli nella liturgia fascista, va sottolineato che l’abitazione di Catena del camerata, divenne una delle sedi locali del Fascio. Puggelli d’altronde incarnava l’eroe perfetto: giovane, forte, coraggioso e fedele alla causa; basti pensare che già prima di partire per la Liguria fu ferito gravemente ad una gamba, durante una spedizione sopra Vaiano, promossa dal Fascio pratese di cui faceva parte. Eppure partì lo stesso.
Tornando alla foto, ecco chi sono gli uomini, iniziando con le figure in piedi da sinistra: Arrigo Leporatti, (?) Morandi – gerarca di Pistoia, Guido Pacini, Giuliano Testai e Casimirro Borelli. Invece in ginocchio da sinistra, troviamo: Lazio “Tiziano” Testai, Maffeo Morini, Giannino Giannini e (?) Ciattini. Sfogliando la rivista “storialocale” del 2020, in un articolo di Rosita Testai, viene aggiunto un interessante commento all’immagine: «Alcuni avanguardisti (…) nel dopoguerra dell’Italia repubblicana abbandonarono l’ideologia fascista in cui erano stati cresciuti ed entrarono a far parte delle varie formazioni politiche nate a Quarrata, come la DC, il PCI ed il PSI e si impegnarono nella amministrazione della città e in attività culturali e sociali». Nello specifico, Leporatti e Morini diedero vita alla sezione locale del Partito socialista e furono tra i fondatori della Casa del Popolo di via Galilei; Morini divenne persino consigliere comunale. Invece Pacini e Testai militarono per tutta la vita nella Democrazia cristiana e nell’Azione Cattolica e Testai ricoprì l’incarico di assessore ai lavori pubblici nella prima giunta Amadori.