Olio, vino, e… (prima parte)

Olio, vino, e… (prima parte)

di Maria Stefania Bardi Tesi

marzo 2009

Prima di entrare nel vivo dell’argomento che a noi interessa, credo sia necessaria una premessa per meglio comprendere lo stretto legame fra territorio e cibo della tradizione. Alimentazione, consumi alimentari, enogastronomia, sono fenomeni così totalizzanti dell’attività umana da non poter essere esaminati da un solo angolo visuale, che risulterebbe parziale e probabilmente fuorviante. Antropologi, sociologi e filosofi, da sempre hanno trattato e trattano tali argomenti, a conferma di come alimentazione ed enogastronomia siano complesse forme di co-evoluzione tra le culture della società considerata e le caratteristiche dell’ambiente nel quale tale società si trova a vivere. L’ambiente, da sempre (soprattutto fin quando sono state rispettate le stagionalità produttive), ha svolto un ruolo importante nel determinare la funzione alimentare di un popolo.

Le caratteristiche dettate dal clima, il paesaggio naturale, gli ecosistemi che determinano le condizioni ambientali, inevitabilmente si riflettono nella qualità, quantità e diversità delle risorse alimentari. Dunque l’ambiente determina e più ancora ha determinato, fino a non molti decenni fa, cosa si doveva mangiare. Perfino l’apporto calorico e nutrizionale della dieta quotidiana rispondeva in genere alle spese energetiche che clima e lavoro imponevano. La ricerca su tradizioni alimentari, usi, mestieri ecc… inerenti al territorio quarratino riconduce inevitabilmente alla famiglia rurale-contadina, meglio sarebbe dire mezzadrile. Custode nel tempo di sapori e saperi, per lo più tramandati oralmente, come memoria affettiva e comunicazione intergenerazionale.

La nostra campagna, con le case rurali ancora presenti, evoca immagini, ricordi ed emozioni che la quotidianità globalizzata non è riuscita a cancellare; anzi, credo sia proprio questa a dar maggior impulso alla ricerca delle nostre radici e della nostra appartenenza culturale. L’occhio si perde fra vigneti ed uliveti, a conferma dell’importanza che queste risorse, assieme al grano, hanno da sempre avuto per la nostra gente, sia dal punto di vista alimentare che come fonte economica, confermando anche nel nostro territorio la valenza della “Triade Mediterranea”, di cui ormai tutti conoscono i benefici effetti sulla salute. La storia del vino e dell’olio si perde in quella più ampia dell’umanità e , il poco spazio disponibile, impone di sorvolare su quella più antica. Mi preme però ricordare che già nei primi secoli della storia di Roma, la viticoltura era fiorente; tanto che finì per occupare un posto di rilievo fra le colture di gran reddito. Columella, nel suo “Trattato dell’agricoltura” documenta l’alta perfezione raggiunta dalla viticoltura romana; così Plinio nella sua “Storia Naturale”.

Durante l’Impero Romano, il vino assunse un ulteriore significato intrinseco, dovuto alla nuova religione che si stava diffondendo nel mondo. L’importanza della produzione vinicola nel territorio quarratino si evince anche dal ricordo della gran festa di Vendemmia, che insieme alla festa di Battitura, rappresentava un momento di aggregazione e di svago per la comunità. Su l’aia erano in genere portate le bigonce piene di uva per la prima pigiatura fatta con il “pigione”. A seguire, un’altra nei tini fatta con i piedi (in genere dai giovani). Si diceva: “il mosto rinvigorisce il corpo”. Il vino della piana rispetto a quello della collina era più “leggero”, addirittura ricordano in molti, che quello fatto in Querciola era di bassa gradazione a causa degli olmi e delle querce che ombreggiavano le viti. Doveva essere consumato velocemente altrimenti prendeva “il forte”. Il vino della quotidianità sembrava già annacquato e i primi giorni “spumeggiava”. In realtà non era vero vino ma vinello e/o mezzone di antichissima tradizione; infatti quando si svinava, veniva strizzata l’uva nello strettoio e il “pane dell’uva” (vinaccia) messo in un tinello con l’aggiunta di acqua. L’acqua ribolliva per due o tre giorni, poi si versava nelle damigiane, si conservava pochi mesi ed aveva una gradazione bassissima.

Continua…

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