di David Colzi
“Le parrucchiere di Kabul” è un progetto promosso dalla Paul Mitchell Italia, azienda leader nel settore dei prodotti per capelli, e da Pangea Onlus, una fondazione che dal 2002, lavora per favorire lo sviluppo economico e sociale delle donne e delle loro famiglie. In pratica sono state scelte due parrucchiere italiane legate alla Paul Mitchell, e inviate in Afghanistan, nella prima settimana di giugno, per insegnare alle loro colleghe di Kabul i segreti del mestiere: una delle due è la nostra concittadina Stefania Paganelli che assieme al marito Antonio Cappiello, gestisce il salone “Capelli D’effetto” in via Corrado da Montemagno.
Perché ha deciso di intraprendere questa avventura?
Perché mi sono informata sulle condizioni umane di queste donne: loro vivono in una società molto diversa dalla nostra che le vede ancora segregate e sottomesse agli uomini. Quindi, per loro, iniziare a lavorare in casa come parrucchiere, è già un miracolo e io volevo dare il mio contributo. Certo, è stata l’azienda Paul Mitchell a scegliermi assieme alla mia collega Roberta, ma non ho esitato a dare la mia disponibilità fin da subito.
Che impressione vi ha fatto Kabul?
Molto forte, anche perché noi venivamo dal lussuoso scalo di Dubai, quindi l’impatto con il degrado di Kabul è stato notevole: infatti la città è ancora zona di guerra e noi eravamo gli unici occidentali in giro per strada.
Chi sono stai i suoi compagni di viaggio?
Roberta Deppieri, una collega di Venezia, Corrado Marconi, amministratore delegato Paul Mitchell, Luca Lo Presti, presidente di Pangea, e la compagna Maria Luisa, mentre il nostro fotografo è stato Ugo Panella. Ovviamente noi potevamo muoverci solo grazie a degli autisti, che erano poi anche le nostre guardie del corpo.
… E le vostre allieve?
Due colleghe afghane (ora certificate Paul Mitchell) ritenute le più competenti fra quelle selezionate. Siamo state insieme a loro per tre giorni, trasmettendogli concetti e segreti del nostro lavoro, che poi dovranno insegnare ad altre donne interessate al mestiere. Quando anche le loro allieve si saranno diplomate, avranno l’accesso al microcredito di Pangea, che permetterà loro di iniziare un’attività lavorativa in proprio.
Ci spieghi meglio…
Pangea è una associazione Onlus, e un po’ fuori Kabul, c’è una sua sede: qui le donne, se lo desiderano, ricevono una formazione da personale specializzato e accedono al microcredito: imparano norme igenico-sanitarie di base, l’importanza di mandare i loro figli a scuola e cose così. Noi siamo stati a visitare questa “Casa Pangea” ed è stato molto emozionante quando, quelle signore che erano lì ad imparare ad “emanciparsi”, ci hanno ringraziato per il nostro “coraggio” di essere a Kabul.
L’emozione più bella?
Vedere la voglia di fare e di apprendere negli occhi e nelle mani delle nostre colleghe (sorride). E’ stato bello constatare che donne di lingue diverse, comunicavano attraverso i gesti universali del mestiere. Sia io che la mia collega Roberta, non siamo nuove a queste esperienze, in quanto insegniamo già nelle aule della Paul Mitchell, ma stare lì, in mezzo a quelle donne è stato emozionante, proprio perché sapevamo da dove vengono e qual è il loro vissuto quotidiano, dentro una città dove le strade non sono ancora asfaltate e pattugliate quotidianamente da soldati.
Che sensazioni ha provato tornando a casa?
La prima cosa che abbiamo notato, già mettendo piede all’aeroporto di Dubai, è la mancanza di polvere! Infatti a Kabul è costantemente portata dal vento: la calpesti, la respiri… e talvolta la mangi (sorride). Poi abbiamo notato subito la differenza degli abiti, anche perché noi, nel nostro soggiorno in Afghanistan, ci siamo vestite come loro, con tanto di scialle per coprirci i capelli. Poi ci sono gli odori diversi: ad esempio i profumi delle boutique dell’aeroporto ci sono sembrati molto forti, quasi invadenti. Un’altra cosa che mi ha colpita è stata lo sfarzo eccessivo delle vetrine, con i gioielli, gli abiti firmati. Tutto questo d’improvviso ci è sembrato così futile.