Sinfonia di Natale

Sinfonia di Natale

di Carlo Rossetti

dicembre 2012

Fra poco sarà Natale. E’ una festa che ogni anno aspettiamo per godere di un po’ di serenità, anche se, per la verità, con i tempi che corrono la pace interiore può rimanere un desiderio inappagato. E’ comunque un momento di riflessione, di sosta, in cui si avverte la necessità di lasciare gli affanni della vita quotidiana per dare spazio ai buoni sentimenti, per ritagliarci un periodo tutto da dedicare alla famiglia e agli amici. C’è un cambiamento che avviene dentro di noi. Ci sentiamo più buoni, predisposti a capire gli altri più di quanto non abbiamo fatto prima. Si abbandonano, almeno per il momento, vecchi dissapori, sopiti rancori, piccole rivalse, per lasciare spazio nel nostro animo a sentimenti che abbiano più a che fare con il Natale. Si cerca, insomma, di proporci in una veste più consona al momento. Lo sfavillio delle luci crea un’atmosfera che anticipa la festa e che influenza il nostro modo di sentire, che cerchiamo di manifestare agli altri con un profluvio di <<tanti auguri>>, <<auguri anche a lei e alla sua famiglia>> e via dicendo, in un consolatorio scambio di ottimistiche previsioni. Questo cambiamento interiore può essere definito “effetto Natale”, del quale non possiamo garantire una durata indeterminata, ma che ci auguriamo possa sopravvivere fino a S.Stefano. Si accantonano gli argomenti di tutti i giorni, dalle primarie del PD all’andamento dello spread e sfuma pure il tifo calcistico che ci porta fino al punto di non inveire più verso la Juventus, oggetto di privilegi reali o presunti da parte della classe arbitrale. E’ tutto dire, siamo veramente buoni.

Si comincia intanto a fare progetti, a organizzarci e la prima cosa a cui pensare, dopo i regali, se c’è la disponibilità per farli, è il pranzo di Natale e il conseguente elenco delle persone da invitare.

Si parte intanto con il proposito di non cucinare molto, vuoi perché in famiglia un paio di persone che per età e patologie varie non possono eccedere con l’alimentazione, vuoi anche per una questione di rispetto verso chi non ha nulla. Specialmente per i dolci c’è un divieto assoluto di non esagerare come l’anno precedente, in cui sulla tavola fecero la loro apparizione ben quattro tipi di torte. Perciò la prima cosa da fare è un elenco di quello che potrebbe essere il menù, in cui si manifesta la nostra condizione di prigionieri del consumismo. Dopo avere elencato i crostini di fegato, si passa inevitabilmente ai cappelletti o in alternativa ai tortellini, naturalmente in brodo di cappone; poi per chi preferisce altri tipi di minestre, una bella teglia di lasagne al forno o di tagliatelle all’uovo con sugo di carne. Per secondo il cappone ripieno, la gallina faraona e altri arrosti. Come contorno patate, salsa verde, piselli e altre verdure. Ma c’è chi suggerisce anche lo zampone con il purè di patate e già che ci siamo anche il cotechino e le lenticchie. Qualcuno accenna al capitone, ma viene messo subito in minoranza per il motivo che non fa parte della nostra cucina ed è assai costoso. Per quanto riguarda i dolci, panforte, cavallucci, torta con la crema e l’immancabile panettone e il pandoro come opzione. Vini di diversa gradazione, spumante e acqua minerale. <<Ma chi si invita quest’anno?>> è la domanda che echeggia in famiglia. <<Mah?, si potrebbe sentire il tuo fratello con tutta la sua famiglia.” L’anno scorso c’erano i miei, è giusto quest’anno invitare i tuoi.>> Detto fatto, preso il telefono si passa immediatamente all’invito. Dopo i convenevoli di rito, formulata la domanda, dall’altro capo la risposta è che <<bisogna vedere se si può venire perché non so se i miei figlioli stanno a casa oppure vanno come l’anno scorso a passare il Natale fuori>>. <<E poi c’è la zia Dina, è sola come tu sai, a chi si lascia? Da quando le è morto il marito sembra un pesce fuor d’acqua povera zia>>. (Chi è che non ha una zia Dina in casa o nei paraggi?) Ma all’altro capo la risposta non si fa attendere. <<Portate anche lei, ci mancherebbe! Anzi ci fa piacere rivederla perché da quando è morto Angiolino non si è più rivista.>>

Quando arriva il Natale, davanti a una tavola superbamente imbandita con il “servizio buono” tirato fuori per l’occasione e il centrotavola con agrifoglio, una grande famiglia allargata si siede in attesa di celebrare la festa, più con l’apparato digerente che con lo spirito. La famiglia degli invitati ha aderito al completo. Alla zia Dina, venuta pure lei, è stato fatto prima di partire divieto assoluto di non parlare della vecchia questione dell’eredità, il tarlo che sembra rodesse fino all’ultimo il povero marito, bistrattato dai fratelli nella spartizione del patrimonio di famiglia, ora in mano dei nipoti che sono gli ospiti. Lei ha assicurato che non ne parlerà perché è acqua passata ormai. Intanto alla zia Dina è stato dato un paio di comode ciabatte, perché le scarpe a punta stretta non le può portare più di un quarto d’ora e una vestaglina da mettere sopra al “taièrino” perché non lo macchi e dal quale cala appena il sottabito di pizzo che indossa sempre per le ricorrenze. Gli invitati naturalmente non sono venuti a mani vuote e si sono presentati con i dolci, tra cui il tronco alla crema e cioccolato di una famosa pasticceria artigiana e una mantovana e un tiramisù. Dopo i convenevoli di rito, gli auguri, i baci sulle guance, l’attenzione viene rivolta alla zia Dina alla quale, dopo averle detto <<quanto piacere ci hai fatto a venire>>, le viene rivolto l’immancabile: <<Zia o come ti mantieni bene, tu sembri sempre una ragazzina>>, dopo di che ci si può mettere a sedere.

Ha inizio così la successione delle portate e via via ci si accorge che non è un normale pranzo di Natale, fatto senza esagerare come si era detto, ma l’abbondanza ricorda il rancio di una truppa, non per la qualità certo, ma per la quantità. A poco a poco i volti si arrossano anche con la complicità delle bottiglie di Chianti, il cui contenuto scende a vista d’occhio. Gli occhi lucidi e sporgenti dei commensali testimoniano l’affanno dell’organismo e danno agli invitati un aspetto da ipertiroidei. Qualcuno purtroppo, pur controllandosi, non riesce a evitare un’esternazione gastrica, che passerebbe inosservata se non fosse per via dell’audio a stento trattenuto, che ne indica l’inequivocabile provenienza. <<Scusate>> dice <<ma non ce la faccio più.>> Intanto, durante il pranzo è tutto uno scambiarsi di opinioni e lodi. <<Buona questa gallina, veramente tenera>>. <<Sì è buona, l’ho presa da un contadino, ma avrei dovuto tenerla in forno un po’ di più>>, dice la padrona di casa, ma l’ammissione è più per sembrare modesta che per intima convinzione. Anzi. <<Anche queste lasagne non “fanno di noccioli” quanto a bontà, ma quanto lo fai cuocere il magro?>>. <<Tre ore, abbondanti>> <<Ah! Ecco perché sono così buone>>.

Dopo due ore e mezzo il pranzo ha termine. Ci si ricompone, ci si riveste, una ripassatina al trucco e dopo avere rinnovato gli auguri per l’anno che sta per finire, gli ospiti se ne vanno con l’esortazione per la Zia Dina di ritornare presto. Sulla via del ritorno, in macchina, i primi commenti interrompono il momentaneo silenzio. Ed allora tutto ciò che prima era stato oggetto di ammirazione e considerazione, subisce il primo, inevitabile ridimensionamento. <<Le lasagne erano buone, ma un po’ troppo cotte e la gallina faraona poco arrosolata; i nostri dolci però, hai sentito che delizia?>> La zia Dina che fino a quel momento era stata zitta, dice che è stato un pranzo da persone che hanno i soldi. <<D’altra parte loro ce li hanno, anche quelli di’ mi’ Angiolino.>> Nel primo pomeriggio l’effetto Natale sta già sfumando e gli animi tornano a rimodellarsi sulle vecchie passioni, le piccole invidie, le ipocrisie, patrimonio del nostro DNA e senza le quali perderemmo un po’ della nostra identità.

 

Ciononostante, Buon Natale.

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