Concludendo – A NOI! (Di QUA)

Concludendo – A NOI! (Di QUA)

di Massimo Cappelli

giugno 2011

L’idea di dare a questo Concludendo un carattere tutto littorio, parte da due persone che casualmente hanno lo stesso nome: Marcello Biancalani il quale mi ha messo davanti una tavola degli anni ‘40, dove sono raffigurati, insieme a Mussolini e a Vittorio Emanuele III°, oltre centoventi agricoltori quarratini, fra i quali anche suo padre. E Marcello Fabbri che ironizza sempre sul mio aspetto fisico, attribuendomi una sorta di “stretta” parentela con il duce (la “d” minuscola è voluta). Anche se io rispondo sempre che sono più somigliante a Gabriele D’Annunzio.

Questo manifestino, che potete vedere qua sopra, stampato nel 1942 e riguardante il nostro Comune, doveva essere uno strumento di propaganda fascista a pro della guerra, e presumibilmente faceva parte di un progetto che doveva legarsi in maniera capillare ad ogni territorio dell’Italia d’allora. Forse tirato in qualche milione di copie e adattato a migliaia di Comuni, era una pubblicazione al servizio del regime, oserei dire un… “A NOI” (di qua) del ventennio, (con la sostanziale differenza che NOIDIQUA è veramente al servizio della gente). Il messaggio contenuto in esso recita così: “è l’aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende”. Molto probabilmente ideato proprio da D’Annunzio, copy di molti slogan di allora (qualche tempo prima, visto che all’epoca dei fatti era già morto e sepolto).

A quel tempo c’era bisogno di rafforzare la cultura della guerra, facendola sembrare di estrema necessità, per cui, non avendo ancora inventato né la televisione né le “bombe intelligenti”, bisognava far appoggiare il concetto su dei grandi valori come il comune senso di  responsabilità, il senso di appartenenza, il lavoro quotidiano, la famiglia. Bisognava far leva soprattutto sulle paure e sulla possibilità che con la guerra venissero tolti: beni, serenità e tutto ciò che la gente aveva di più caro. Per questo il messaggio proponeva di lasciare l’aratro e di imbracciare la spada per difendersi. Oltre all’uso regolare dell’olio di ricino, già da allora un altro buon metodo di persuasione era la tecnica dello scambio: il duce che scende in campo, (e qui non voglio fare analogie, NOIDIQUA non tratta di politica) e per assomigliare al suo popolo si fa fotografare sul trattore o con la falce in mano insieme ai contadini e alle persone semplici. Al contrario, al popolo si offre come nel nostro manifestino, un posto accanto ai potenti che per l’occasione indossano anche l’elmetto da guerra, ma sicuramente dopo scattata la foto, ripongono copricapo e strumenti da lavoro, tornano ai tavoli di comando e mandano i ragazzi di vent’anni a morire ammazzati.

Cambiano le epoche, i mezzi di comunicazione, ma i criteri di manipolazione sono sempre gli stessi, sea but never wing* (che tradotto dall’inglese vorrebbe dire maremma maiala): possibile che non ci sia mai un capo di stato o un primo ministro che si pigli la responsabilità in maniera totale? Che, in caso di dissapori fra due nazioni, anziché dichiarare guerra con impiego di milizie, eserciti e reggimenti, si rinchiuda in una stanza con il capo di stato avversario e combatta a suon di legnate o di sberle, o anche a tressette, a briscola o a scopa, o a chi piscia più lontano… fino a che non esce un solo vincitore. Anche questa non è mica piccina, eh? Sapete quante giovani vite risparmiate e quante risorse economiche da destinare a scopi più nobili della guerra? Ma credo che se ci fosse questa usanza, o la legge per la quale,  prima di andare al potere si dovrebbero sanare i debiti, sicuramente non si candiderebbe più nessuno. Certo, qualche secolo prima andava un po’ peggio: i potenti tagliavano addirittura le teste, anche in tempi di pace e il più delle volte anche senza motivo. Qualche anno dopo invece (e fino ai tempi nostri), con la democrazia, hanno imparato che a contarle, le teste, invece di tagliarle, rende di più. (Questa non è mia).

Concludendo, voglio ringraziare Marcello Biancalani per avermi prestato il materiale da dove ho preso spunto per questa mia ultima fatica. Vorrei anche dire, a scanso di equivoci, che sia lui che suo padre credo c’entrino poco con il contesto del manifestino, come c’entrano poco la maggior parte dei quarratini riprodotti in questo documento storico. Voglio ringraziare anche Marcello Fabbri, per ricordarmi ogni volta che ci vediamo che assomiglio a Mussolini. Credo di avergli dato una bella soddisfazione essendomi fotografato con la camicia nera e il fez, anche se ribadisco che entrambi assomigliamo di più a Gabriele D’Annunzio: io per l’aspetto fisico e per il mio lavoro, lui per tutto il resto. Vorrei salutare tutti i lettori con una domanda che mi sorge mentre scrivo: ma secondo voi, in quegli anni se ne saranno accorti, e quanti se ne saranno accorti, che erano nel bel mezzo di una dittatura?
Con patriottico ardore

P.S. Spero che Marino Cappelli, il mio babbo, avendomi visto in queste condizioni (perché sono sicuro che lui mi vede) non si sia fatto tanto male rivoltandosi nella tomba, e soprattutto, pensando all’educazione democratica che mi ha impartito, non cerchi di sussurrarmi: “nini, o che ha’ pers’ i’ capo!”

(*) sea but never wing: mare-ma-mai-ala.

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