Introduzione Carlo Rossetti. Intervista Carlo Rossetti e David Colzi
giugno 2009
Nel numero precedente, presentando Vinicio Gai, ho parlato della lunga amicizia che mi lega a lui; ora voglio raccontare un’opportunità che da questo lungo sodalizio deriva. Io sono un modesto violinista, ma l’aggettivo può risultare eccessivo e indulgente verso me stesso, perciò è meglio definirmi uno che strimpella tale strumento. Eppure, nonostante il dichiarato limite, potrei destare l’invidia di veri e propri violinisti, di coloro cioè che, frequentati i corsi presso un Conservatorio, hanno conseguito il diploma di violino o hanno imparato in altra maniera a suonarlo bene. Il perché è presto detto. Ho avuto l’opportunità di suonare strumenti di grande pregio come Stradivari, Amati, e altri meno importanti ma sempre straordinari. Capisco che può sembrare il frutto di un’accesa fantasia, di un attacco di megalomania incontrollata, ma invece è la pura verità. L’avere suonato con questi violini, il cui fascino e la straordinaria bellezza del suono alimentano un mito che si tramanda da secoli, può essere considerato senza dubbio un privilegio e allo stesso tempo una profanazione, data appunto la mia approssimazione violinistica.
Da tenere inoltre presente che l’accesso è riservato a pochi virtuosi. Ma tant’è. E’ proprio la fraterna amicizia con Vinicio Gai che mi ha consentito di arrivare a questo. All’inizio degli anni Sessanta Vinicio Gai, pubblicò un libro rivolto soprattutto a specialisti del settore, in cui descriveva minuziosamente tutti gli strumenti del Conservatorio Musicale Cherubini di cui lui era il Responsabile. Lo accompagnavo a Firenze con una vecchia Ardea un paio di volte alla settimana, insieme al Prof. Ciro Calzolari, altro personaggio di inestimabile valore, sia dal punto di vista umano che professionale, per collaborare al rilevamento di misure e a disegnare, anche se approssimativamente, tutti gli strumenti del Conservatorio. Ricordo che per l’occasione realizzai un grande calibro di legno, ancora in possesso di Gai, per consentire la misurazione di strumenti come violoncelli e contrabbassi. Dagli schizzi e dalle quote trascritte, il Prof. Calzolari avrebbe realizzato in altra sede i disegni definitivi da inserire nel testo. Cosa che lui fece in maniera superlativa, sia per la perfezione grafica che per il rigore tecnico-scientifico, senza l’ausilio del tecnigrafo, solo con mezzi a dir poco rudimentali. Ecco, durante le pause pomeridiane del tè, approfittavo di quel tempo per mettere indegnamente le mani su quei violini, beninteso autorizzato, e allietare, tanto per dire, la pausa quotidiana. Quasi un precursore del “Piano bar” in versione violinistica. Questo è uno dei tanti ricordi legati alla nostra lunga amicizia.
David: E poi ha collaborato alla stesura di due delle maggiori enciclopedie italiane…
Penso che si riferisca alla stesura del “DEUMM” della Utet e la “Grande Enciclopedia dell’Antiquariato” della De Agostini. Io in queste opere ho curato solo alcune voci legate alla mia area di competenza. I responsabili delle pubblicazioni dissero che potevo dedicarmi a tutto ciò che volevo, ma io decisi di scrivere solo di poche cose, senza voler ostentare competenze che magari non mi appartenevano, o comunque che non avevo approfondito abbastanza da potermi definire esperto.
Carlo: Ma come funzionano, nel dettaglio, questi tipi di collaborazioni?
Chi decide di redigere una enciclopedia chiama gli esperti del settore e gli da alcune voci da scrivere con un numero preciso di righe da riempire ed un numero preciso di parole da adoperare. Pensa che a me volevano affidare tutte le voci riguardanti gli strumenti musicali… Invece ho optato per ciò che riguarda la preservazione e la conservazione degli strumenti musicali, cioè la “Museologia Organologica”.
David: Qual è stata la prima persona che l’ha introdotto nel mondo della musica?
Don Vittorio Michelozzi, divenuto poi pievano a Montemagno. E’ stato lui ad insegnarmi a suonare L’Harmonium, che sarebbe una specie di piccolo organo da chiesa, ed è sempre lui che mi ha fornito i primi rudimenti di cultura musicale, ancor prima che iniziassi a suonare il corno. Poi, subito dopo guerra, è arrivata la banda di paese ed il conservatorio.
David: Fulcro centrale di tutta la sua formazione è stato comunque il conservatorio Cherubini; che ricordi la legano a questa istituzione fiorentina?
Mi piace sempre ricordare quando organizzammo un quintetto di fiati per andare a suonare in giro per la Toscana; si chiamava “Quintetto Cherubini” ed era formato da fagotto, oboe, flauto, clarinetto e corno. La nostra stagione concertistica durò dal 1950 al 1952; ovviamente ci sciogliemmo perché i musicisti iniziarono ad essere chiamati a suonare nelle varie orchestre stabili italiane.
Carlo: Con quali mezzi vi spostavate?
Con i mezzi pubblici. All’epoca non c’erano in giro molti impresari o agenzie per musicisti, quindi ci si doveva arrangiare con quello che si aveva. (sorride)
La nostra rivista si occupa di Quarrata; cosa significa questa città per lei?
In questa città sono cresciuto; qui ho trascorso la mia infanzia e giovinezza quindi per me è un posto importante. Oggi, anche se vivo a Firenze, torno sempre un paio di giorni la settimana qua da voi, perché voglio mantenere i legami con questa città e con gli amici di sempre, con cui sono invecchiato. Per me l’amicizia è un patrimonio preziosissimo, un bene supremo che va coltivato con cura.
Curiosità
Vinicio Gai fa parte della Accademia Nazionale di Musica, Lettere, Arti – L.Cherubini. All’interno di questa storica istituzione fiorentina, ha conosciuto personaggi del calibro di Eugenio Montale, Salvatore Quasimodo, Alberto Moravia, Carlo Carrà, Giorgio De Chirico, Bruno Bartoletti, Leonardo Pinzauti, Indro Montanelli.
Carlo Betocchi, grande poeta e scrittore italiano, nel 1967 realizzò questo piccolo componimento poetico per Vinicio Gai, con un pizzico di ironia:
O Quarrata felice
tu, che a Vinicio Gai
desti la vita
d’onde gran gloria avrai