di Carlo Rossetti
giugno 2015
L’ipocondriaco è quel tipo di paziente che ogni medico vorrebbe possibilmente escludere dall’elenco dei propri assistiti. Fa parte delle persone che opprimono il dottore, il quale deve diffidare di lui, non tanto perché sia una persona moralmente discutibile, quanto piuttosto per la sua necessità di non dire la verità riguardo alla propria salute. Ogni qualvolta consulta il medico, cerca di depistarlo mentre gli riferisce i sintomi del proprio male allo scopo di ottenere la risposta che lui vuole. E quasi sempre ci riesce. Tutto ciò non fa parte di un piano diabolico ordito nei confronti del medico, bensì di un atteggiamento di difesa attuato per evitare una diagnosi che potrebbe metterlo in crisi.
Nella biblioteca di casa non può mancare l’Enciclopedia medica che consulta per un nonnulla e che per lui è un testo sacro come la Bibbia, alla quale ora aggiunge Google per un maggiore approfondimento dei più svariati sintomi che giornalmente avverte nel proprio corpo. Entrambi vengono consultati dopo una lunga indecisione derivante dalla paura di trovare la certezza di quanto sospetta e la contemporanea speranza di essersi sbagliato. L’ipocondriaco, che può essere considerato come l’espressione del “sintomo pret-a-porter”, è in grado di percepire il benché minimo cigolio del proprio organismo e trasmetterlo in simultanea alla mente in una sorta di calcistico “il corpo minuto per minuto”. Quindi la psiche lo elabora e amplificandolo lo rimanda al soma in una interminabile serie di passaggi.
L’ipocondriaco se avverte all’improvviso uno strano malessere, sul momento fa finta di niente: fischietta, cerca di mantenere la calma e ostenta un’apparente disinvoltura, ma di lì a poco finisce per soccombere di fronte al sintomo che si ingigantisce. Comincia a sudare, avverte un’accelerazione del battito cardiaco, e sente strani movimenti duodenali da “cacca spray”. Guarda immediatamente l’orologio, mentre si preme l’addome per un primo personale esame. «Sono le 13.30, potrei telefonare al dottore» pensa fra sé «ma a quest’ora è a pranzo e sarebbe inopportuno disturbarlo». Desiste per il momento, ma temendo di non poterlo rintracciare nel pomeriggio, pone immediatamente la mano sulla cornetta, l’alza e comincia a digitare. Noove, zeero, sette, due, cinque. Porta all’orecchio il ricevitore e sente dall’altro capo il segnale di libero. A questo punto preso da un ulteriore scrupolo, ha un ripensamento e riabbassa, pensando di rimandare la telefonata a più tardi, ma intanto la sua sintomatologia si fa sempre più marcata. Se in quel momento un monitor posto sul petto potesse evidenziare ciò che sta avvenendo nel suo interno, si noterebbe un frenetico lampeggiare di luci rosse, mentre la pressione salita a valori di 250/140 mmHg, sarebbe l’ulteriore riprova che il suo organismo è andato il tilt.
Intanto lui riflette ancora un po’ ma vinto ormai dall’angoscia, ricompone il numero e attende. Dall’altra parte del filo una voce femminile fredda e distaccata, non appena conosciuto il motivo della chiamata e l’ identità dell’interlocutore, lo prega di attendere un attimo. Ed è proprio in quell’attimo, lungo una vita, che l’ipocondriaco deve fare appello a tutte le sue forze per non crollare, in attesa della voce calma e rassicurante del medico che spera possa tranquillizzarlo. Il suo respiro da cane in corsa si amplifica nella cornetta fino a creare un effetto Dario Argento, come al cinema. Appena all’altro capo qualcuno si fa sentire, lui con voce rotta dall’emozione, pronuncia la solita lamentevole frase: «Scusi dottore se mi permetto di disturbarla a quest’ora, ma mi creda sto male, veramente male e avrei bisogno di lei…»