di Massimo Cappelli
marzo 2023
Se qualche decennio fa avessimo visto una persona, alla guida dell’auto o camminando, parlare da sola, forse ci sarebbe scappata una risata spontanea. Se qualcuno ci avesse detto “prendi il telefono e vai a fare qualche foto” lo avremmo sicuramente preso per scemo. Oppure se un nostro debitore si fosse scusato per non averci fatto il bonifico a causa dell’assenza di segnale o del suo telefonino scarico, avremmo pensato che quella fattura, probabilmente, non l’avremmo mai riscossa. In pochi decenni la tecnologia ha veramente rivoluzionato la nostra vita, ha cambiato le nostre abitudini al punto che, oggi, è molto difficile rinunciare alle sue molteplici applicazioni. Il processo è stato veloce e anche per certi aspetti impercettibile, ed è ancora in corso, come siamo di corsa anche noi, ogni giorno, totalmente immersi nel cambiamento che forse non viene percepito in tutta la sua potenza; ma quando ci fermiamo un attimo a riflettere, scopriamo che il mondo è veramente cambiato. E di molto!
Sono già passati quarant’anni da quando fu messo in vendita dalla Motorola il “DynaTac 8000X” che è stato il primo cellulare portatile in commercio. Era il 6 marzo 1983 e si apriva così una nuova era nel settore delle telecomunicazioni. La vera rivoluzione però avvenne oltre una ventina d’anni più tardi, con l’avvento del 3G, che ha dato la possibilità di realizzare e scambiarsi foto e filmati, di connettersi alla rete offrendo una miriade di servizi grazie alle molteplici applicazioni che ci permettono di fare di tutto: socializzare, giocare, lavorare, vendere, comprare, leggere il giornale… e così via. Questi quarant’anni trascorsi fanno veramente riflettere su quanto tutto corra velocemente, e non mi riferisco solo alla tecnologia, ma alla vita. Quando eravamo ragazzi e i nostri genitori, che avevano vissuto la guerra, ci raccontavano le storie di soldati, tedeschi e americani, di quarant’anni indietro, ci sembrava preistoria, adesso invece gli stessi quarant’anni ci sembrano l’altro ieri.
Oggi, quando siamo in ritardo ad un appuntamento, basta impugnare il telefonino e chiamare, o inviare un messaggio WhatsApp, per avvertire. Negli anni Settanta, invece, bisognava cercare una cabina telefonica e soprattutto possedere dei gettoni per poter fare la telefonata. I gettoni telefonici era facile averli in tasca o nel portaoggetti della macchina, perché in quegli anni erano riconosciuti anche come valuta di scambio al pari della moneta da cinquanta lire, negli anni Novanta, quando i gettoni furono aboliti definitivamente, valevano duecento lire. I gettoni telefonici allora venivano comunemente spesi nei bar, nelle botteghe o in qualsiasi altro negozio dove venivano anche utilizzati per fare il resto al posto delle monete. Successivamente alla scomparsa del gettone anche le cabine telefoniche, pian piano, scomparvero dalle strade, dalle piazze e dagli edifici pubblici, e mi pare che ultimamente ne facciano tristemente seguito anche i chioschi dei giornali e le edicole in genere, questo perché, come accennavo sopra, le notizie si apprendono dalla rete, dalla radio in auto, sui social, o attraverso le app dei quotidiani. Ma se la scomparsa delle cabine telefoniche non ha provocato molto danno all’economia, la dismessa delle edicole dei giornali sta causando un danno maggiore, non solo per un fattore economico ma anche di mutamento dei costumi perché il giornalaio è stato per molti decenni (forse per oltre un secolo) il primo approccio mattutino alla società: molte persone prima di iniziare la loro giornata, sia lavorativa che festiva, sono abituati a scambiare qualche parola davanti alle edicole che purtroppo oggi sono sempre più rare a trovarsi.
Ma torniamo allo smartphone: oggi l’aggeggio che quasi tutti abbiamo per le tasche, grazie alle sue innumerevoli applicazioni ha la pretesa di sostituirsi a molte figure professionali della nostra società, per esempio al medico di base, misurando la frequenza cardiaca e segnalandoci molte altre funzioni che riguardano la nostra salute; al personal trainer programmando l’attività fisica, o al nutrizionista, fornendoci i parametri e seguendoci costantemente nelle diete personalizzate. In tempo di pandemia è stato anche possibile assistere alle funzioni religiose della nostra parrocchia attraverso il telefonino. Si dice che in America stia per essere riconosciuta dalla legge un’app, che collegata al Codice Civile, può assistere le persone al posto dell’avvocato.
Ma se invece di pensare ai quarant’anni trascorsi guardiamo avanti, e ci immaginiamo quelli da trascorrere, chiediamoci: come sarà il mondo nel 2063? Credo che io non potrò esserci, ma qualche lettore fra i millennial, appartenente alla cosiddetta generazione zeta, potrà sicuramente vedere il cambiamento. Mark Zukemberg ha già da tempo dato il via al Metaverso, ovvero ad un mondo virtuale parallelo dove ognuno di noi potrà immergersi attraverso il suo avatar, e grazie alla realtà virtuale e alla realtà aumentata potrà interagire in una rete di situazioni “virtual 3D”, con gli avatar di altre persone. Praticamente avremo tutti una “seconda possibilità”: chi non sarà soddisfatto del suo aspetto fisico potrà farsi più bello, più magro o più alto; chi avrà problemi di timidezza manderà avanti la sua copia, insomma, in un mondo parallelo ognuno potrà essere il proprio alter ego e avere tutto ciò che vuole. Ci sarà da mettere in conto, però, di stare tutto il giorno in casa, con una visiera sugli occhi. Nel mondo reale invece, la tecnologia sarà integrata al fisico, i dispositivi, sempre più piccoli e più potenti, oltre ad essere un’estensione della mente, saranno un appendice del corpo, alimentati dall’energia che esso produce. Così potremo comunicare da vicino, da remoto e… forse, chissà… anche con la telepatia. Sarà veramente questo il mondo fra quarant’anni? Chi può saperlo! Ai posteri l’ardua sentenza.
Per concludere vorrei augurare a tutti che in futuro prevalga l’intelligenza, quella buona e positiva, e che produca buonsenso nelle menti di coloro che comandano il mondo, poiché si possa arrivare finalmente a non fare più guerre. Perché la guerre… le fanno le persone stupide.