La vita di Roberto

La vita di Roberto

di Giacomo Bini. Foto: Adriano Tesi

dicembre 2021

Una rivista come la nostra, che ha sempre valorizzato le eccellenze del territorio, ha il dovere di onorare il maestro Roberto Catinari, la cui morte, il 9 novembre scorso, ha suscitato cordoglio a livello nazionale e internazionale. A Catinari e alla sua straordinaria arte anche la nostra rivista ha dedicato una delle sue copertine e un ampio servizio nel 2013.

Forse il modo migliore di rendergli omaggio è ricordare la sua storia personale, che può insegnare moltissimo anche ai giovani di oggi e a noi tutti. Intanto quella di Catinari è una storia di emigrazione, perché andò via dal Bardalone, il suo paese natale, a 17 anni, nel 1954, per andare a lavorare in Svizzera. E, cosa da segnalare, non lo fece per sé soltanto, ma per la famiglia. Suo padre era in difficoltà economiche e aveva bisogno di aiuto. Allora lui e i suoi fratelli emigrarono per contribuire a rimettere in sesto i conti della famiglia. A Winterhur, una località vicina a Zurigo, il giovane Roberto raggiunse la sorella che era già lì da tre mesi. «La prima notte fu una notte di lacrime» ha raccontato Catinari.

Il giorno dopo iniziò a lavorare in una pasticceria, ma faceva il lavapentole e metteva il carbone nelle stufe iniziando la mattina alle quattro e puliva quello che c’era da pulire. La paga era bassa e non c’erano i sindacati. Dopo due anni, dico due anni, fu messo ad aiutare al forno, a infornare paste e cornetti. Non a farle, a infornarle soltanto. Con l’andare del tempo però si deperì e ammalò perché mangiava poco. Un medico che lo visitò avvertì il padrone che, se voleva tenerlo, doveva cambiargli mansione e allora lo misero a lavorare in cioccolateria. Fu la sua fortuna. Iniziò a mettere le nocciole sulle praline. Ma aveva ancora la giacca blu, quella degli aiutanti, non quella bianca dei cioccolatieri. Solo una decina d’anni dopo il suo primo giorno di lavoro il padrone gli dette una pacca sulle spalle e gli disse che da allora poteva vestire la giacca bianca. Allora Roberto iniziò a «rubare con gli occhi», imparando avidamente il mestiere. La sera a casa trascriveva le sue ricette, anche scrivendole a macchina in tedesco. E quei preziosi appunti sono stati la base della sua ascesa professionale.

Nel 1973 arrivò la svolta. Catinari partecipò ad una mostra-concorso a Zurigo con 200 concorrenti. Bisognava presentare un oggetto di cioccolata. Lui realizzò uno strettoio di quelli che servono a strizzare l’uva, tutto di cioccolata, tutto fatto a mano, con insieme una bottiglia di vino anch’essa di cioccolata e dei cioccolatini al vino. «Gli svizzeri dicevano che ero matto» raccontava Catinari «perché il vino non si abbina bene alla cioccolata, ma io trovai il modo». Catinari vinse la medaglia d’oro alla mostra di Zurigo. Dopo quel successo lui e la moglie decisero di tornare in Italia. A Bardalone gestivano la pensione di famiglia d’estate e facevano la cioccolata in inverno. Roberto andava in giro con la valigia a mostrare i suoi prodotti. La gente che scendeva dall’Abetone si fermava a gustare la sua cioccolata. Nel 1982 la nuova svolta, il trasferimento ad Agliana, in via provinciale pratese a cui è seguito un successo straordinario.

Quella di Catinari non è solo una storia di grande abilità artigiana, ma anche di umiltà e di capacità di apprendere.

 

Le informazioni per questo articolo, oltre ad essere state prese dalla nostra intervista del 2013, sono tratte dall’intervista rilasciata da Catinari a “Radio Libere Agliana” del 2017 e  dal libro “Su e giù per la vita. Storie di uomini e donne straordinariamente ordinari” di Marco David Benadì, edito da Baldini&Castoldi.

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