di David Colzi. Foto: Gabriele Bellini.
giugno 2022
Da Agliana a Shanghai e viceversa. Siamo andati a conoscere Marco Busatti e sua moglie Silvia Moccia, per farci raccontare la loro vita nel mondo della ristorazione fra Oriente e Occidente, che ha avuto come ultima tappa l’apertura del Ristorante Busatti, a Ferruccia di Agliana, nel 2018.
La carriera di Marco nel mondo della ristorazione iniziò a trent’anni, quando venne chiamato a dirigere la cucina di un bar con punto pranzo a Ferruccia (fra l’altro negli stessi locali dove oggi sorge il suo Ristorante Busatti). Lui all’epoca non aveva studi alle spalle, a parte qualche corso privato e tanta passione; la sua esperienza si basava sul fatto di aver dato una mano a catering e ristoranti della zona durante i fine settimana, alternandolo al suo lavoro di magazziniere. Oltre a questo, da giovanissimo aveva lavorato in una pasticceria. E siccome la fortuna aiuta gli audaci, dopo meno di un anno si presentò l’opportunità di affiancare in un ristorante di Pisa, lo chef Roberto De Franco. Quell’esperienza rappresentò il salto di qualità e così Marco divenne un cuoco a tutti gli effetti. Dopo Pisa, andò a lavorare a Firenze e poi a Calenzano, nel ruolo di executive chef.
In questo periodo di trasferimenti e di accrescimento professionale, rimase costante l’amicizia con De Franco e fu proprio lui a portarlo in Oriente, come ci spiega Marco: «Roberto lavorava già Cina come chef in un ristorante di lusso, e stava per trasferirsi a Singapore nel momento in cui io ero in procinto di lasciare il locale di Calenzano, prossimo alla chiusura. Il quel momento di passaggio, Roberto mi disse che i suoi ex datori di lavoro a Shanghai, gli avevano chiesto se conoscesse qualche bravo chef che provenisse dall’Italia per rimpiazzarlo, e lui pensò a me».
Fatti i dovuti calcoli, Marco decise di partire e provare, dandosi qualche mese di tempo per valutare se quella poteva essere la sua nuova vita. I dubbi prima della partenza erano molti, anche perché da un anno era diventato padre della piccola Olivia. Comunque, quello che doveva essere un giro di prova, divenne in breve una scelta di vita di quattro anni, dal 2012 al 2016, perché quando Silvia andò a trovarlo con la bimba per le vacanze estive, decise che entrambe sarebbero rimaste con lui. «Anche per me non fu una scelta facile» ammette Silvia; «d’altronde io lasciavo un lavoro fisso da impiegata, dopo diciotto anni». Meno traumatico fu il passaggio per Olivia che iniziò subito ad ambientarsi a Shanghai, frequentando il nido e poi la materna assieme ai bambini cinesi, tanto che nei suoi primi anni di vita era diventata perfettamente bilingue. «Parlava bene anche l’inglese» precisa sorridendo il babbo.
Com’era il ristorante di Shanghai?
«Si trattava di un locale di lusso, molto famoso in città; il suo nome era Isola (oggi non esiste più) e proponeva solo cucina italiana» ricorda Marco. «Apparteneva ad una Spa cinese che gestiva una quarantina di ristoranti. Era collocato sotto alla Shangai Tower, quindi, più centro di così! La location era splendida: milleduecento metri quadri per duecentosessanta coperti. Lì gestivo una brigata di ventotto chef, tutti cinesi, e fra di noi parlavamo in inglese, lingua che avevo imparato appena tre mesi prima della partenza, con un corso intensivo qua in Italia».
Hai viaggiato molto in quei quattro anni?
«Certo. Capitava spesso che venissi invitato alle inaugurazioni, perché la società apriva locali di continuo in Cina. Ho visto bei posti, ho fatto esperienze uniche e stretto tante amicizie. Poi con la famiglia ho visitato la Thailandia, le Filippine e il Vietnam che da Shanghai non sono poi così lontani».
In quanto executive chef di un ristorante famoso eri una star, tipo il nostro Cannavacciulo. So che ti hanno fatto tante interviste per riviste di settore, hai partecipato a programmi televisivi di cucina e ad eventi esclusivi, promossi da brand italiani tipo Barilla… Allora, perché tornare in Italia?
«Perché fin dall’inizio per noi la Cina doveva essere solo un’esperienza. Poi nel 2016 Olivia era in procinto di iniziare la scuola ed io e Silvia ci siamo posti il problema della sua istruzione. A questo si aggiunse il fatto che il mio contratto era in scadenza, sebbene avessi già trovato un altro posto come chef».
«Poi Shangai non aveva solo lati positivi, sebbene noi tre ci stessimo benissimo» aggiunge Silvia. «Penso alla sanità cinese che è solo privata, al fatto che non si maturano i contributi per la pensione e che l’inflazione è galoppante. Ricordo che in quattro anni l’affitto del nostro appartamento aumentò di quasi 800 euro. Poi, come tutti sanno, a Shanghai c’è normalmente uno smog che da noi farebbe subito scattare il blocco della circolazione. Non di rado la mattina guardavo sulla app del cellulare i livelli d’inquinamento, per capire se potevo uscire di casa con o senza la mascherina».
E quindi siete tornati.
«Sì,» prosegue Marco «anche perché c’era la prospettiva di prendere da subito in gestione il ristorante del Tennis Club di Agliana. Io e Silvia lo abbiamo tenuto per due anni, anche grazie all’aiuto di sua sorella Giulia. Poi, sempre noi tre, ad aprile 2018, abbiamo aperto il Ristorante Busatti. La formula è consolidata: io in cucina con il mio braccio destro, William Bortolatto, e le sorelle Moccia in sala.
Al Ristorante Busatti cosa proponete?
«Una cucina molto simile a quella che facevo a Shanghai, quindi per un target medio alto. Si tratta di piatti italiani, rivisitati con raffinatezza. Molta attenzione è riservata all’impiattamento e alle materie prime. Qui facciamo tutto in casa, dal pane alla pasta fresca, fino ai gelati. Lo considero un ristorante “metropolitano”, proposto nella cornice di Agliana».
Prima di congedarci chiediamo a Marco e Silvia se, tutto sommato, si vive meglio in Cina o in Italia. A noi hanno risposto sinceramente, ma se volete sapere come la pensano, non dovete fare altro che andare a trovarli a Ferruccia e fargli la stessa domanda. Zài jiàn.