Alice Tiezzi – dalla danza alla psicomotricità, da Agliana a Parigi

Alice Tiezzi – dalla danza alla psicomotricità, da Agliana a Parigi

di Piera Salvi

giugno 2022

Il suo sogno era danzare e l’aveva realizzato, poi ha scoperto la psicomotricità e questa è diventata la sua professione. Sognava anche di viaggiare ed ha viaggiato: tra le mete raggiunte Iran, Libano, Senegal, Sud America fino a Panama, Cuba, Stati Uniti, il cammino di Santiago, che ricorda come «una grande esperienza». E c’è un sogno speciale che sta per uscire dal cassetto: visitare Samarcanda, una delle più antiche città del mondo, lungo la Via della seta. E’ Alice Tiezzi, aglianese, che dal 2004 vive all’estero e si definisce «viaggiatrice, spirito libero e indipendente».

La passione per la danza, iniziò con il famoso coreografo pistoiese Loris Gai?

«Ho studiato danza prima alla scuola di Loris Gai e poi a Firenze con il Balletto di Toscana. Per un anno, in Sicilia, ho fatto spettacoli con una compagnia di danza. Le collaborazioni con insegnanti e coreografi che lavoravano a Bruxelles contribuirono a farmi maturare l’idea di trasferirmi nella capitale Belga, centro importante per la danza contemporanea che all’epoca offriva più possibilità che in Italia di partecipare ad audizioni».

Poi ti sei resa conto che la vita da artista è precaria anche a Bruxelles, è così?

«Sì. Decisi di dedicarmi all’insegnamento della danza e scoprii che mi sentivo meglio nel ruolo d’insegnante: mi consentiva di condividere e trasmettere quello che avevo appreso».

E dopo?

«Sono curiosa, ho sempre cercato di accrescere le conoscenze nell’ambito del mio lavoro. Lessi un libro sulla psicomotricità e fu per me un’epifania. Mi aveva appassionato al punto che decisi d’iscrivermi all’università. Mentre continuavo a insegnare danza, conseguii la laurea in psicomotricista. Da circa nove anni questa è la mia principale occupazione e mi sono specializzata in Francia e in Italia».

Nel 2019 perché ti sei trasferita a Parigi?

«Avevo trovato un’opportunità di lavoro come psicomotricista a tempo pieno nel Gruppo ospedaliero Paul Guiraud, dove ancora mi occupo di pazienti adulti con patologie psichiatriche. E’ un settore difficile e delicato. Prima del rapporto con i pazienti c’è da capire come funzionano queste grosse istituzioni, qual è il nostro ruolo e quali sono i nostri compiti specifici, oltre a inserirsi nell’equipe. E’ una sfera della sanità molto particolare. Per lavorare in psichiatria bisogna volerlo e farlo con passione, anche perché i risultati si giocano sulle capacità di relazione. Ci mettiamo in gioco come tecnici, ma prevale l’umanità. Nel nostro mestiere si parla di “qualità di presenza, interazione e relazione”. Dal settembre 2021 ho aperto anche uno studio privato, per adulti e bambini».

Trasferimento da Bruxelles a Parigi e poco dopo è esplosa la pandemia. Come hai vissuto quel periodo?

«Avevo già sperimentato un lockdown a Bruxelles quando, in seguito all’attentato terroristico a Parigi del novembre 2015, cercavano i terroristi in città. Per una decina di giorni c’era una situazione surreale: metropolitana e centri commerciali chiusi e l’esercito in città. Poi il 22 marzo 2016 c’è stato l’attentato alla metropolitana di Maelbeek e all’aeroporto a Bruxelles».

Avevi paura?

«Ha prevalso la volontà di non cedere a paura e pregiudizi. A Bruxelles c’è una grossa comunità musulmana pacifica e integrata. La mattina dell’attentato ero a casa ma ogni pomeriggio prendevo quella linea della metropolitana per andare alla scuola di danza dove insegnavo. Ho avuto la consapevolezza che può accadere a chiunque di essere coinvolti in queste tragedie».

E’ stato più difficile gestire i pazienti psichiatrici nel periodo del lockdown?

«Siamo riusciti a preservare i pazienti, ci sono stati pochi casi positivi al virus. È stata efficace la prevenzione. Per molti di loro il lockdown è stato un momento di sollievo. Si sono sentiti uguali a tutti gli altri. Una delle motivazioni del mio lavoro è abbattere lo stigma della malattia mentale».

Il prossimo viaggio?

«Per questa estate ho in programma un viaggio in Uzbekistan, che è un sogno fino da quando ero piccola, in particolare per visitare la città di Samarcanda».

Ti senti ancora legata ad Agliana?

«Sì molto. Torno ad Agliana tre o quattro volte all’anno e ritrovo volentieri la famiglia, le abitudini e i luoghi che mi appartengono. E’ un riposo fisico e mentale. Quando sono all’estero mi piace parlare di Agliana e della Toscana».

Il tuo futuro sarà ancora all’estero o pensi di tornare in Italia?

«A Parigi e comunque in Francia, credo di avere ancora esperienze da fare. A lungo termine, sì, penso di tornare in Italia».

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