di Piera Salvi
settembre 2022
Romano Baroncelli, nato nel 1929, ha compiuto 92 anni nel dicembre 2021. E’ un ex un commerciante nel settore delle calzature molto conosciuto e apprezzato ad Agliana. Ora sono figli, nuore e nipoti a portare avanti l’attività di famiglia. Abbiamo avuto diverse occasioni di parlare con Romano. E’ piacevole ascoltarlo perché è un fiume di ricordi ed emozioni. Una decina di anni fa ci ha raccontato come nacque il Torneo dei rioni di Agliana alla metà degli anni Settanta (perché lui fu tra i promotori). Ma ci ha raccontato anche storie più lontane, di quando era adolescente nel periodo della seconda guerra mondiale. Racconti che vogliamo fermare su queste pagine perché ci danno l’idea di come viveva un adolescente negli anni Quaranta in pieno conflitto mondiale. Romano nell’estate del 1944 non aveva ancora compiuto 15 anni e racconta di avere vissuto giorni indimenticabili: «Per 43 giorni» ricorda «il quartier generale tedesco della Linea Gotica era nella mia casa in via Selva, ad Agliana. In casa c’erano sette tedeschi, si erano impossessati dei nostri fornelli. Uno di loro cucinava e lo aiutava mia madre. Il soldato metteva lo zucchero nei pomodori. In casa nostra avevano nascosto un deposito di armi, io lo vidi attraverso una botola e fuori c’era sempre parcheggiata un’auto, sempre sorvegliata da un soldato, probabilmente perché dentro c’erano documenti, da quanto avevo potuto vedere sbirciando con la mia curiosità di ragazzino. Tra casa mia e le case intorno c’erano 43 tedeschi. Di fronte a casa mia c’era un capitano delle SS, era una belva, controllava i militari. Il colonnello che era da noi, invece, era buono, era definito il “comandante della piazza”. Di notte andava a tirare qualche cannonata a Firenze. In casa dei nostri vicini e parenti ci fu perfino un tedesco che si diede disertore».
Abbiamo deciso di riportare qui alcuni racconti di Romano Baroncelli perché, pur se stiamo vivendo un periodo difficile, è importante non dimenticare quante sono state le difficoltà del passato, soprattutto per gli adolescenti, ma anche le persone ogni età.
Ecco alcuni episodi dell’estate 1944, durante il quartier generale raccontati da Romano Baroncelli.
«Ero andato al cinema Moderno, in piazza c’erano i tedeschi, rischiavamo di essere presi. Scappai dal retro del bar che era in piazza, corsi fino al cimitero di via Bellini, poi su via Provinciale e tornai verso casa passando dal cimitero di San Niccolò. Così riuscii a salvarmi».
«Un giorno i soldati tedeschi che erano a casa mia caricarono me e mia sorella Romana sulla loro Jeep. Noi non volevamo salire ma loro volevano farci fare un giro per il paese, pensando di svagarci: per loro era un gesto benevolo verso noi adolescenti e non potevamo dire di no, ma per noi fu una vergogna girare per il paese su una camionetta con i soldati tedeschi».
«Dopo la morte dello zio Elio il colonnello disse al babbo di stare nascosti».
(Lo zio Elio, era Elio Tonsoni, aglianese, che fu tra le vittime dell’eccidio per rappresaglia del 14 luglio 1944 alla Casa Rossa, sulla collina montalese).
«Una sera passavano le truppe in ritirata. Io e mia sorella stavamo a guardare. Dormimmo tutti nell’aia. Nella notte sentivamo che facevano saltare i ponti. Il capitano disse: “Domattina noi mandare lettera”. Io dissi: “Domani le poste non lavorano”, perché il giorno dopo era domenica. La mattina dopo andammo tutti dal Pancano (in via Santini). Sentimmo uno scoppio in lontananza. Una cannonata passò sulle nostre teste, si abbatté su una fattoria vicina. La cannonata veniva dalla collina: quella era la lettera».
«Una mattina, in via di Saverio, dietro casa mia, ho contato 1208 aerei passare nel cielo».
«Un giorno ero andato con altri ragazzi a fare il bagno in Bure. Cominciarono a passare gli aerei che sganciavano bombe sulla ferrovia, una mi passò sopra la testa, quasi mi sfiorò. Cercammo di ripararci in una fossa, ma qualche scheggia ci colpì agli arti. Niente di grave, però sentivamo bruciore. Quando tutto fu passato arrivò un tedesco e ci disse di seguirlo. Ci fece ripulire la strada dai detriti delle bombe».
«Mio padre Antimo aveva iniziato a lavorare facendo il calzolaio, poi si dedicò al commercio come ambulante. Il primo mercato dopo la fine della guerra l’ho fatto a Prato con il babbo. Partimmo da Agliana con due sacchi sul manubrio della bicicletta, dentro c’erano tutti stivali da bambino».
Da quel mercato riprese la nuova vita, la guerra divenne un ricordo, che però non si mai affievolito.