Ferdinando Abbri – accademico, saggista, storico della filosofia

Ferdinando Abbri – accademico, saggista, storico della filosofia

di Piera Salvi. Foto: Gabriele Bellini

giugno 2023

Storico della filosofia, è stato tra i più giovani docenti italiani a vincere la cattedra universitaria e tra i più giovani a ricevere il riconoscimento di Professore Emerito, che viene conferito dietro parere del Ministero dell’Università e della Ricerca, su proposta del dipartimento universitario di appartenenza e del rettore. Stiamo parlando di un aglianese illustre, il nostro concittadino Ferdinando Abbri, sempre disponibile a collaborare a iniziative culturali nella comunità aglianese, dove ancora vive e alla quale è molto legato. Abbri tiene a ricordare: «Sono nato nell’aia di Tamburo, che era all’angolo tra via Bellini e via Garibaldi, nella frazione di San Piero, il 12 luglio, nel giorno del secondo anniversario della morte di mio nonno Ferdinando. Per questo porto il suo nome». Prima di farci raccontare la sua carriera professionale cerchiamo di conoscere le sue origini. Abbiamo scritto in passato, su queste pagine, la storia della Croce di Tamburo, che oggi è in via Garibaldi dalla parte opposta alla collocazione originale e che era così chiamata perché si trovava sulla facciata della casa di Tamburo, un uomo che, da quanto ci avevano raccontato, era così soprannominato perché suonava il tamburo nella banda di San Piero. Ma il professor Abbri smentisce: «La croce era sotto la finestra della mia camera. La casa, già “casa Melani” era nell’aia chiamata “di Tamburo”come la croce ma non perché ci abitava un suonatore. Sinceramente non ho mai capito l’origine di questo soprannome di mio nonno. Nell’aia abitavano diverse famiglie ed era un piccolo mondo, dove c’era tanta condivisione».

Perché si è appassionato alla filosofia?

«Fu decisivo l’incontro con il professor Paolo Rossi, celebre storico della filosofia e delle idee, con il quale mi sono laureato in filosofia nel 1975. L’anno successivo andai a Pisa come borsista alla Domus Galilaeana».

Nel 1981 Abbri è ricercatore di storia della filosofia all’Università di Firenze. A 35 anni, vince la cattedra ed è professore ordinario di storia della filosofia moderna e contemporanea a Cosenza, Facoltà di lettere e filosofia dell’Università della Calabria. «Ero tra i più giovani docenti italiani ad avere una cattedra universitaria» racconta. Dal 1991 è stato professore alla Facoltà di Magistero (poi lettere e filosofia) di Arezzo, Università di Siena e per dieci anni preside di Facoltà e membro del Senato Accademico. E’ stato docente ad Arezzo, quindi anche a Siena, di storia della filosofia, storia della filosofia Medievale, storia della musica, filosofia della musica e filosofia morale, nonché direttore del dipartimento di Arezzo. Dal novembre 2021 è in pensione, ma continua a insegnare. «A titolo gratuito» precisa «sei mesi a Siena e sei mesi ad Arezzo. Lo faccio volentieri per aiutare i colleghi». A maggio 2022, nell’aula magna del Palazzo del Rettorato dell’Università degli Studi di Siena, gli è stato conferito il riconoscimento di Professore Emerito, insieme ad altri colleghi. Il titolo è conferito a docenti ordinari collocati a riposo, che abbiano una anzianità di servizio di venti anni nel ruolo maggiore e che abbiano avuto incarichi gestionali in Ateneo durante la carriera accademica o abbiano svolto attività didattica e scientifica di eccellenza. «Ero quello con maggiore anzianità di servizio» informa, «ma non il più vecchio». Abbri è anche autore di tantissimi libri, saggi e articoli, pubblicati in Italia e all’estero. «Non ho mai smesso di scrivere» afferma. «Il mio momento di respiro è studiare e produrre».

Da storico della filosofia, come legge i cambiamenti umani e sociali?

«Mi colpisce negativamente che i giovani oggi hanno a disposizione tanti strumenti importanti, per esempio un tempo si doveva andare in biblioteca a Firenze per consultare testi, ora si trova tutto sul web, ma l’impressione è che questi strumenti non servono a sviluppare capacità critica. Se osservo i giovani in treno sono tutti alle prese con il loro smartphone, non c’è più dialogo. Credo che oggi ci sia una grossa difficoltà nell’interazione tra le persone, che era un arricchimento. Questo si ripercuote anche nei rapporti uomo-donna e nei femminicidi. Le opportunità non sono colte come crescita di informazione e pensiero critico. Ciò che impressiona è che non c’è l’esperienza dell’altro o altra che dovrebbe arricchire. E il problema coinvolge anche gli adulti. L’essere umano è emozioni e sentimenti, gli strumenti rischiano di far perdere all’essere umano la pluralità di dimensioni e ci riducono all’unidimensionalità. Così rischia di aumentare la mancanza di rispetto, la facilità di insulti e violenza sociale».

Come ne possiamo uscire?

«Uno strumento fondamentale è l’educazione veramente permanente. Finito il ciclo scolastico non è finito il compito. L’educazione deve continuare fino alla terza età, a beneficio della salute mentale».

Cosa pensa dei laureati in fuga all’estero?

«Se li prendono vuol dire che sono preparati. Il problema è che dopo l’impegno delle famiglie e dello Stato se ne vanno all’estero perché in Italia è difficile trovare occupazione, oppure gli stipendi sono bassi. In Italia abbiamo il ‘mito del miracolo’ io ho un concetto più anglosassone e pragmatico, la “bacchetta magica” non ce l’ha nessuno».

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