di Piera Salvi. Foto Adriano Tesi.
settembre 2013
Una storia iniziata 110 anni fa. Ricordarla è come vedere un film in bianco e nero, che nel tempo si colora e si rinnova, salvando la tradizione. Nel 1913, quando Agliana conquistò l’autonomia da Montale, la rivendita di tabacchi e generi alimentari “Bonacchi” esisteva già da 10 anni. La licenza è del 3 gennaio 1903 e fu rilasciata a Stefano Pietro Bonacchi dal comune di Montale. «Ma già dal 1860 i nostri antenati avevano rapporti commerciali», racconta Silvano che oggi rappresenta la quarta generazione in questa storica famiglia di commercianti. Dopo Stefano Pietro l’attività fu condotta dal figlio Costantino con la moglie Assuntina, poi dai lori figli: Tonino, Costantino, Corrado e Contardo. La storia continua con Costantino e sua moglie Dora, finché entrano in bottega i loro figli: Marco e Silvano con la moglie Annarita Narisi.
Tuffarsi in questa storia significa rievocare due guerre mondiali, l’epoca fascista e la fame che ha segnato gli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso. «La nonna Assuntina metteva da parte pacchettini di alimenti da distribuire gratis alle famiglie che avevano bambini» racconta Silvano. «I clienti acquistavano solo i generi necessari e pagavano quando avevano i soldi, così tutti gli acquisti venivano segnati su libretti. Si vendeva soprattutto pane, pasta, farina, orzo, sale, zucchero, aringhe. Poca frutta e verdura perché quasi tutti avevano un terreno da coltivare. E tutto si vendeva sfuso e pesato su una bilancia a piatto. Chi comprava il latte si portava la bottiglia da casa». Tempi di case senza frigoriferi, così a bottega si comprava anche il ghiaccio. Poche le farmacie, ma dai Bonacchi si poteva trovare il “Chinino di Stato”, farmaco venduto solo da chi aveva la licenza. Quella rilasciata ai Bonacchi dal Ministero delle Finanze (incorniciata ed esposta in negozio) è del 1903.
Nelle case dei contadini si allevava il maiale, del quale non si buttava via nulla. La macellazione del maiale era una festa e nella bottega dei Bonacchi c’era una grande vendita di spezie per la salatura delle carni suine. «Al cliente che comprava le spezie per salare le carni di maiale veniva offerto un bicchiere di vino» racconta Silvano. «La bottega dei nonni era anche un punto di ritrovo dove si parlava di guerra, di caccia, di teatro, di politica e dei raccolti nei campi; ma anche un luogo per distrarsi giocando “al fiasco”, gioco delle carte dove chi perdeva pagava da bere: rigorosamente vino». Tempi in cui sigari e sigarette si vendevano anche singolarmente e le sigarette erano “Macedonia” e “Maresca”. Tempi di fumatori senza soldi che si aggiravano in attesa che qualcuno buttasse via le ‘cicche’ per raccoglierle, infilzandole con un bastoncino appuntito, per farsi poi una sigaretta con tabacco riciclato. E poche di strade buie e polverose, spesso allagate.
Si racconta che qualcuno per andare a far la spesa camminava in strade su trampoli di circa mezzo metro. «Oggi andare avanti è difficile,» confessa Silvano «i piccoli negozi sono tartassati, ma i nostri antenati superarono due guerre ed anche noi supereremo questo periodo critico. Andiamo avanti con le sole armi che abbiamo: passione, servizi, continua ricerca di prodotti genuini e di qualità. Cercando di restare anche un punto di socializzazione».