di Giacomo Bini
marzo 2016
Il mese di marzo, che oggi è universalmente dedicato alla donna, è sempre stato, nella cultura classica e moderna, il mese maschile per eccellenza in quanto il suo nome deriva da Marte, il possente Dio della guerra, un maschio esuberante e vitale, il signore della forza produttiva che pulsa nella natura. Va detto però che quel macho esuberante di Marte, un tipo tutto muscoli e vigore, è nato, secondo il poeta latino Ovidio, da un’unione non convenzionale tra due donne, Giunone, la moglie di Giove, e Flora, la dea italica della Primavera amata da Zefiro e rappresentata con le sue ghirlande fiorite nel celebre dipinto del Botticelli. Si potrebbe dunque dire, in termini contemporanei, che Marte sia figlio di una coppia gay oppure di una single, inseminata artificialmente da un’altra donna. Non si trattava peraltro di un’unione civile, ma di una collaborazione generativa occasionale, ispirata ad una forma di solidarietà procreativa tramite inseminazione no-profit.
Le cose andarono più o meno così: Giunone, irritata perché il marito Zeus si era permesso di procreare Minerva senza il suo contributo (l’aveva fatta uscire dalla sua regale testa), corse piangente dall’amica Flora, la sorridente promotrice delle fioriture nei campi, e la implorò di aiutarla a rendere la pariglia al marito generando “senza virile contatto”. Dopo qualche esitazione la dolce Flora soddisfece la prosperosa amica toccandola con un fiore prodigioso che la ingravidò, facendo annidare nel suo grembo l’embrione del futuro Dio della guerra. “Subito con il pollice colsi il fiore ben radicato; con esso tocco Giunone, ed ella nel grembo toccato concepisce” fa raccontare Ovidio alla stessa Flora. Sarà forse in virtù di quest’origine gentile e tutta femminile che il mese di marzo appare ai poeti non così univocamente potente e decisionista come vorrebbe il nome del Dio guerriero. Anzi, a forza di sottolineare le pioggerelle e le nebbioline che si alternano al sole nelle sue capricciose giornate, i poeti finiscono per far emergere di questo mese la fragilità, l’incoerenza e la suscettibilità che lo avvicinano di più all’immagine del maschio contemporaneo, notoriamente in crisi di identità, piuttosto che a quella del granitico maschio tradizionale. De Musset rappresenta marzo come un bambino che accenna un sorriso in un volto piangente e Wordsworth lo descrive tenero e mite, quasi cedevole nella sua dolcezza.
Il popolo, come si sa, lo definisce “pazzerello” sottolineando una volubilità quasi isterica. Ma nessuna inquietudine potrà togliere a Marzo la straordinaria forza vitale e produttiva, che è espressa da quel suo viso da scugnizzo, da monello ridente con le scarpe sporche di fango (Hal Borland), malizioso e trasgressivo, sempre pronto a salpare verso l’ignoto, capace di ogni svolta e iniziativa. La cultura medievale era convinta che Dio avesse creato il mondo nel mese di marzo ed è a marzo che Dante Alighieri intraprende il suo viaggio.
L’augurio ai nostri lettori è quindi che marzo, pur con la sua natura talvolta umbratile e incostante, abbia infuso a tutti l’energia per provare cose nuove e dare un bel colpo di reni.