Concludendo… in tre domande e tre risposte

Concludendo… in tre domande e tre risposte

di Banca Alta Toscana

dicembre 2020

Nel primo lockdown, quando fummo tutti costretti a stare due mesi in casa, l’amico Andrea Massaini, marketing di “Vannucci piante”, ebbe una bellissima idea per non farci atrofizzare il cervello: dopo aver tirato su un gruppo di Facebook di un centinaio di persone di cultura diversa e di diversa estrazione sociale, rivolse a tutti i componenti qualche domanda di carattere generale e attese le risposte. Ovviamente, io di risposte ho solo le mie, le ho rilette, e dopo qualche mese ne ho scelte tre da condividere con voi amici lettori. Magari, se volete, potete rispondermi sul sito noidiqua.it o sulla nostra pagina Facebook.

INCATENATI

In India, quando catturano gli elefanti ancora piccoli, li legano ad un paletto sufficientemente robusto per trattenerli. Nonostante ci provino, gli elefantini, vista la loro tenera età, non riescono a liberarsi. Passano gli anni, gli elefanti diventano adulti e rimangono attaccati allo stesso paletto di sempre. Potrebbero facilmente sradicarlo, da grandi, ma siccome continuano a credere di non poterlo fare, rimangono prigionieri. Quali sono le convinzioni che vi incatenano al palo, come i piccoli elefantini?

Sono proprio le nostre credenze e le nostre convinzioni a determinare la nostra esistenza, tutti noi abbiamo un grande potere personale e non lo sappiamo. Per vivere in comunità dobbiamo limitarci e adeguarci alle regole, ai codici di comportamento che ci vengono inculcati fin da piccoli attraverso l’educazione, l’etica e la religione. Con il tempo, con la conoscenza e la formazione qualcuno riesce in parte a “liberarsi” da queste restrizioni, un po’ come il gabbiano Jonathan Livingston che volava molto più in alto dei suoi simili perché credeva di essere un’aquila. Ma la domanda era… “quali sono le convinzioni che mi tengono legato” mah, il fatto è che io, come forse molti che stanno leggendo, non abbiamo ancora scoperto di essere un’aquila e personalmente credo di assomigliare più a un piccione che a un gabbiano!

IL TEMPO

Tutti i santi giorni una “banca magica” ci accredita 86.400 secondi. Cosa ne facciamo? Quale valore riusciamo a dare a questo dono prezioso?

Il valore che diamo al tempo è direttamente proporzionale al tempo vissuto: più giovani siamo e meno valore daremo al tempo rimanente; più tempo abbiamo vissuto, invece, e più prezioso ci sembrerà quello che ci rimane. Con l’avanzare dell’età, inevitabilmente, tutte le nostre azioni si rallentano, per cui dobbiamo mettere in atto nuove modalità per affrontare al meglio il rapporto con il tempo, soprattutto in riferimento alle nostre priorità, e secondo la nostra personale scala di valori. 

Mi viene in mente la storia dell’anziano professore che deve tenere una lezione sulla gestione del tempo a dei rampanti e giovani manager d’azienda. Il professore preferisce impostare una lezione empirica basata sulla pratica, più che sulla spiegazione. Arriva in aula e fra lo stupore di tutti, in silenzio, tira fuori da sotto la cattedra un contenitore cilindrico trasparente, che pone sul piano del tavolo. Successivamente, prende un secchio colmo di grosse pietre di fiume e le deposita nel recipiente fino a riempirlo. Sempre in silenzio, estrae di nuovo da sotto la cattedra un altro recipiente, questa volta pieno di ghiaia, che rovescia nel contenitore trasparente, così tutti possono vedere i sassolini che vanno a riempire gli spazi vuoti che si erano formati fra le pietre a causa della loro forma rotonda. Fa la stessa cosa rovesciando della sabbia: i granelli vanno a riempire completamente tutto il contenitore posizionandosi fra ghiaia e pietre. Prima di congedarsi, molto garbatamente, il professore esorta: “Come avete potuto vedere, per riempire tutto il recipiente ho usato una ben precisa strategia: sono partito dalle grosse pietre e poi ho continuato inserendo via via gli elementi più piccoli. Diversamente, se davo la precedenza alle minuzie, non si sarebbe incastrato tutto. Proprio come nella vita: se nel tempo che abbiamo a disposizione mettiamo al primo posto le cose che hanno meno valore, rischiamo di non avere il tempo per dedicarci a quelle più importanti. Il compito di riconoscere quali sono le cose più importanti spetta solo a voi, ognuno ha le sue priorità nella propria scala di valori”. Saluta cordialmente, prende le sue cose e, in silenzio, come era arrivato se ne va, lasciando tutti ad osservare il contenitore sulla cattedra e a meditare.

FUTURO LONTANO

La casa automobilistica BMW, nata nel 1917 come azienda produttrice di motori per il settore aeronautico, tre anni fa, in occasione della festa per il centenario del suo marchio, organizzò un mega evento in rete, incentrato su una domanda che pose a tutta l’umanità. La domanda era questa: “Cosa porteresti con te nei prossimi cento anni?”

Considerando che ho compiuto ieri sessantadue anni (siamo al 2 aprile 2020) e la vita media di un uomo è ottantacinque, se per “portare” si intende qualcosa di materiale, credo che questa domanda dovrebbe essermi riformulata. Se invece devo per forza rispondere a questo quesito, non mi resta che farlo in maniera immateriale, metafisica e spirituale. “Non ho mai visto un camion da trasloco dietro a un funerale”. Questo lo disse papa Francesco qualche anno fa, riferendosi appunto ai beni materiali. Questa affermazione, semplice e diretta, ma soprattutto detta da un pontefice, mi fece riflettere molto, e oggi ho l’opportunità di esternare le mie considerazioni di allora. Il termine “portare” esprime l’atto di trasferire, spostare, condurre un oggetto con noi, un contenuto presumibilmente con un notevole carico affettivo personale e magari di grande valore, come per esempio molto denaro, un quadro di un pittore affermato o un orologio d’oro. Io credo che il papa, con questa sua breve frase, sia voluto partire dal concetto terreno di “portare” per arrivare al medesimo significato spirituale di “lasciare”. Quando io (spero più tardi possibile) mi sarò sublimato, ciò che porterò con me sarà proprio quello che lascerò: gli insegnamenti che avrò dato ai figli, i ricordi che loro conserveranno di me, ma anche gli oggetti che mi sono appartenuti e il piccolissimo contributo che avrò dato (se lo avrò dato) nel mio passaggio, per migliorare il mondo. Ecco, tutto questo sarà proprio ciò che vorrò portare con me e che, lasciandolo, contribuirà a farmi ancora vivere nei prossimi cento anni.

Che siate o non siate d’accordo con me riguardo i concetti espressi, non mi resta che augurare a tutti un Buon Natale e un Nuovo Anno migliore di questo 2020 (credo che qui siamo tutti concordi che non sia molto difficile). Passeremo tutti delle Feste diverse dal solito per colpa di questa pandemia, ma io credo che in ogni avversità ci sia il seme di un grande beneficio.

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