di Massimo Cappelli
dicembre 2024
A pagare e a morire (come si dice) siamo sempre a tempo, e quando si devono pagare diritti, tasse o imposte, il più delle volte lo facciamo con profonda amarezza. Pagare i diritti di autore sulla musica però lo ritengo doveroso, perché la musica è la colonna sonora della nostra vita. Le canzoni ci ricordano uno o più periodi di vita trascorsa, esperienze, emozioni. Con le canzoni nascono e si alimentano storie d’amore che durano poco, tanto, a volte tutta la vita. Quando alla radio si ascolta un pezzo che ci è familiare si dice… “senti la nostra canzone”. Quindi, dal momento che una cosa è “nostra”, dovrebbe essere anche pagata, no? Come diceva il grande e compianto Massimo Troisi nel suo ultimo film “Il Postino”: «La poesia non è di chi la scrive, è di chi gli serve».
Lavorando nel marketing e nella comunicazione da ormai trentasette anni e occupandomi anche di campagne radio, ho a che fare con diverse concessionarie di emittenti radiofoniche. Ogni radio ha una propria linea editoriale e sviluppa un palinsesto rivolto ad un pubblico specifico, studiato per accogliere inserzioni di determinati prodotti o aziende. Ma il fenomeno degli ultimi anni è la musica anni 70 – 80, e una delle radio di punta è Mitology del gruppo fiorentino My Net, facente capo a Pier Luigi Picerno (foto sotto), fondatore anche di Lady Radio, RDF e Radio Divina. Mitology fino al 2017 era solo il programma di punta di RDF. Fu per una scommessa personale che Picerno acquistò nuove frequenze e fece una radio sulla quale passare solo musica anni 70 – 80. Ebbe ragione, perché tempo nemmeno un anno, grazie anche alla competenza del mio amico e direttore artistico Enrico Tagliaferri (nella foto alla consolle), Radio Mitology conquistò i primi posti nelle indagini di ascolto toscane, aumentando la sua popolarità anno dopo anno. Partendo da questo successo tutto fiorentino, mi vorrei soffermare su questo significativo fenomeno: la musica anni 70 – 80 e sul perché è tanto apprezzata sia da noi boomer che dai nostri figli.
Il conflitto fra generazioni, si sa, è una costante. Quando noi eravamo ragazzi i nostri genitori amavano una musica più melodica, ovvero le “canzonette” che assomigliavano molto alle arie di musica classica di qualche decennio prima. Da qualche anno però era già nata la Musica Pop, ed era già arrivato anche il Rock ’n’ roll, originando quel genere di cantanti nostrani che, ispirati da Elvis Presley, prendevano uno pseudonimo americano e cantavano con i suoi stessi ritmi e movimenti. I parolieri, primo su tutti Mogol, ma anche Giancarlo Bigazzi e molti altri, strizzavano l’occhio ai giovani, ispirandosi, con i loro testi, ad attuali situazioni di vita dei ragazzi di allora, per creare empatia con le masse e poter vendere più dischi. In quegli anni non c’erano molte alternative, il ritrovo era la festa in casa o il dancing. Nel primo caso, le feste si svolgevano quasi sempre nei pomeriggi festivi, e mentre il ragazzo più timido e introverso metteva i dischi, gli altri ballavano i lenti a luce soffusa, appiccicati alla loro ragazzina sperimentando il bacio alla francese. Nella sala da ballo invece si arrivava la domenica alle nove di sera, lì ci suonavano i complessini locali che durante la settimana avevano già provato gli ultimi pezzi più in voga. Le mamme accompagnavano le loro figlie a ballare e, magari, verso le undici e mezzo, ciondolavano dal sonno. Quando si passava dai tavoli a invitare la ragazza a ballare un lento, molte volte eravamo costretti ad arruffianarci proprio con la sua mamma.
Ma eccoci al cambiamento. Verso la metà degli anni Settanta i dancing ebbero il loro declino lasciando via via il posto alle prime discoteche, con esse fu importata dal Regno Unito e dagli USA la Disco Music, la linea di demarcazione fu il film “La febbre del sabato sera” che consacrò l’attore americano John Travolta. Le piccole band locali lasciarono il posto ai D.J., e fu così che in quegli anni, lo “sfigato” delle feste in casa ebbe la sua rivincita diventando un’importantissima figura professionale, non solo nelle tante discoteche cittadine, ma anche nelle piccole radio libere che stavano crescendo in tutto il Paese.
Ho voluto fare questa divagazione allacciandomi a quadri di vita sociale dei ragazzi di quegli anni, per far comprendere meglio il motivo dell’attuale successo della musica 70 – 80: ascoltare una canzone di allora è come rivivere la nostra vita, questa musica ha il potere di farci produrre endorfine, quelle sostanze chimiche create dal nostro cervello in grado di darci benessere fisico e mentale. Praticamente, per noi sessantenni, ascoltare la “nostra” musica è da considerarsi un trattamento terapeutico. Per i nostri figli invece è buona musica da scoprire che induce al dialogo, riducendo notevolmente quel conflitto tra generazioni vissuto da noi, con i nostri genitori. Ma dove sta andando la musica oggi? Certamente non sta a me, incompetente e non addetto ai lavori, disquisire sull’argomento. Tuttavia, da fruitore, nessuno può vietarmi di dare una mia opinione. Io credo che in ambito musicale, come è successo anche per altre forme d’arte, sia già stato detto tutto, come dai capolavori del Rinascimento o dall’emozionante figurativo del Caravaggio siamo passati ai tagli di tela di Lucio Fontana, alla pittura a goccia di Pollock o alla banana a di Cattellan, in relazione alla musica, invece, stiamo andando da “Stayin’ Alive” dei Bee Gees, alla musica Trap (per esempio), nella quale ci sono fiumi di parole che comunicano violenza, lusso e droga, e che dichiarano il disagio di una parte della generazione Z, che sicuramente acquisterà il pezzo sulla Rete e andrà a riempire i mega concerti.
Ai primi Festival di Sanremo furono addirittura considerate un’indecenza le braccia aperte di Domenico Modugno mentre cantava “Nel blu dipinto di blu”, o le irriverenti spalle alla telecamera di Adriano Celentano, oggi invece, nella kermesse più importante di musica italiana, pare si dia più importanza all’apparire invece che all’essere: al trucco, all’abbigliamento alle coreografie e ai movimenti dell’interprete, che alla gradevolezza dello stesso brano musicale, facendolo cadere in secondo piano.
Queste sono solo considerazioni personali di un “matusa” (anzi “boomer” come si dice oggi) di sessantasei anni, credo però che nonostante la mia avversità a questi nuovi generi musicali, essi siano fonte di emozioni vissute da molti giovani che, probabilmente, fra cinquant’anni quando li riascolteranno, proveranno le stesse nostre sensazioni di cui scrivevo prima… Chissà.
Adesso vi lascio perché vado in terapia, ad ascoltarmi un po’ di musica 70 – 80, non prima però di avervi augurato Buone Feste.