di Marco Bagnoli
maggio 2013
La nostra passeggiata per il territorio che ci circonda prosegue ancora un po’, scavalcando secoli e arbusti alla ricerca dello stupore tascabile. Anche questa volta ci imbattiamo nelle orme ben calcate degli antichi popoli nordici; sappiamo bene che proprio presso Agliana dovette stazionare una colonia di Alamanni, come ci racconta la località Alamannesco, da cui Ommannesco, fra la Salcetana e la Brana – o forse da Ausmans, goto – così come allo stesso modo sia Terra Bethinga che Terra Loteringa e Terra Gerardinga sono denominazioni longobarde di località del territorio aglianese. Una delle tesi sostenute dagli studiosi vorrebbe però che gli Alamanni non fecero la strada assieme ai Longobardi, bensì vennero in su per conto proprio ai tempi della ritirata da Roma di re Arnolfo di Carinzia, intorno al 900 – anche se questa, però, è un’altra storia. Sullo scorcio del nuovo millennio questa zona era dunque diffusamente abitata da piccoli raggruppamenti familiari, con castellli, casolari e appezzamenti di terra lavorata; la presenza umana non era tuttavia sufficiente a respingere del tutto l’ispida presenza delle terre ancora incolte, che si meritarono appellativi quanto mai eloquenti, quali vergaio, petriccio, salceto, oppure selva. La bonifica non arrivò che verso il 1090-1100.
Questa nostra scarpinata comincia però nel vivace raccolto rimesso assieme dagli storici; il Rauty ci conferma la presenza dei nordici, grazie ad una carta del 1080 attraverso la quale due donne, Amiza e Albiza, forse appartenenti alla consorteria dei Lambardi di Stagno, cedono una terra in permuta al conte Gerardo, per la precisione il sesto loro spettante della silva de Pacciana et Ronco, esclusi però i prati e le terre lavorative – riconfermandoci quindi anche l’allora stato selvaggio di parte di quelle terre. L’altra nostra guida è nientemeno che il compianto parroco di San Michele, don Sinibaldo Sottili, che getta un’occhiata nel mezzo della selva tra le pagine del suo volume “Storia di un paese senza storia”: son molti i luoghi in Toscana cui è rimasto attaccato il nome generico di Selva, come quello posto ai limiti occidentali della Vaccareccia; il termine è rimasto in uso nella odierna Via a Selva. Questa selva si trovava nel terreno dove oggi si trova il “*lago Pomposi”, mentre un podere, lì nei pressi, è chiamato “il bosco”. Don Sinibaldo cita anche un documento del 1239, dove sta scritto che un tal Belloprimo del fu Bonavito tutore di Baldo vende a Mannello e Rustichello mezzo pezzo di terra in luogo detto Selva. Ancora oggi abita da quelle parti una famiglia Mannelli – e difatti la gente per andarci usa l’espressione “si va dal Mannello”.
* Il lago Pomposi è un piccolo specchio d’acqua di cui si ha memori a partire dagli anni quaranta, utilizzato dai cacciatori per i grassi germani che avevano la sventura d’incrociarvi; c’erano anche i pesci, e almeno fino agli anni sessanta la gente continuò ad andare a farci il bagno, prima di abbandonare del tutto il costume, per via che le acque erano comunque insidiose. Il “lago” era detto dei Pomposi per via che alcune persone della suddetta famiglia erano soliti recarvicisi a caccia, mentre non risulta affatto che fosse di loro proprietà o comunque privato. A quanto ci dicono pare sia ancora al suo posto, modesto, bagnato e semidisperso nel tempo.