di Piera Salvi
marzo 2017
Nato e cresciuto in una famiglia di fabbri da ben cinque generazioni e con un cognome che era già un biglietto da visita: Fabbri. E anche lui, Lidiano, aveva seguito le orme del padre Orazio e dei suoi antenati, con vera passione per quel lavoro, diventando un vero maestro nella lavorazione del ferro battuto, a cui si dedicava con competenza e precisione. Una generazione di artigiani ma anche di artisti, fra cui uno illustre, il celebre scultore Agenore Fabbri, cugino di suo padre Orazio. E anche Lidiano (come il fratello Agenore, omonimo del noto scultore) aveva la sua vena artistica, un valore aggiunto nella professione e pura creatività nel tempo libero.
Nella sua casa e nel laboratorio ormai chiuso, possiamo ammirare alcune sue creazioni, i cui soggetti preferiti erano la natura e il crocifisso; ad esempio una pianta di limone in ferro battuto dipinto, dove si sono posati uccellini e ramarri, che sembra vera. Restiamo stupiti quando la moglie, Nada Nesti, ci spiega che l’ha realizzata Lidiano con incudine e martello. Nada ci mostra anche due crocifissi, uno completamente in ferro battuto che Lidiano aveva realizzato per il laboratorio, l’altro più piccolo, in alluminio e ferro battuto dipinto, da tenere in casa.
Lidiano Fabbri si è spento il 19 dicembre scorso, a 88 anni. Anche se negli ultimi tempi non lavorava più, nella zona si avverte molto la sua mancanza, non solo per la perdita di un maestro nella lavorazione del ferro battuto, curata anche nei minimi particolari, ma anche perché era un uomo onesto, disponibile e appassionato al suo lavoro, a cui tutti volevano bene. Lidiano è stato un punto di riferimento sicuro per chi aveva necessità di manutenzione agli attrezzi agricoli come falci, zappe, vanghe, o le irroratrici manuali a zaino per ramare le viti, che un tempo erano di rame. Aveva clienti nella piana pistoiese e nell’area pratese. «Alle manutenzioni degli attrezzi agricoli si applicava con vera dedizione» racconta la moglie Nada. «Come artigiano era bravo, come uomo è stato esemplare nel sopportare la malattia, anche se all’inizio l’aveva accettata con difficoltà».