di Marco Bagnoli. Foto: Adriano Tesi.
marzo 2016
Oggi andiamo a fare la conoscenza di una delle più importanti realtà industriali di Agliana, il maglificio Beby di via Vincenzo Bellini. Abbiamo incontrato il titolare, Fausto Reali Vannucci, che ci ha raccontato tutto.
Quando è nato il maglificio?
La storia del maglificio risale addirittura agli anni trenta, a cavallo delle due guerre, con Maria, la mia bisnonna. All’epoca la produzione era totalmente artigianale, utilizzando telai meccanici. Ma non solo: le stesse modalità di vendita erano particolari. Infatti per le donne dell’epoca era uso comune uscire dalla messa della domenica, per poi passare presso il laboratorio e ordinare la maglia che sarebbe stata pronta la domenica successiva. È stato solo nel dopoguerra che l‘attività ha assunto una dimensione propriamente industriale, soprattutto grazie al lavoro di Aldo, mio nonno, il marito di Marcella, la figlia di Maria. Aldo, da buon meccanico, riuscì infatti a rimettere in funzione i macchinari rimasti fermi durante la guerra, rendendo possibile l’inaugurazione ufficiale del maglificio nel 1952.
Il maglificio ha un nome particolare, Beby, qual è la sua origine?
Era il soprannome di Maria-Claudia, mia madre, la figlia di Aldo e Marcella: al tempo della guerra gli americani si erano insediati presso la sede del maglificio e chiamavano appunto “baby” questa bambina che girava col triciclo. Poi, nell’uso comune, sembrò normale italianizzarlo chiamandola “Beby” – e ancora adesso sembra normale chiamarla così.
Quanti dipendenti c’erano all’epoca?
Negli anni Cinquanta erano giusto una quindicina, per poi crescere fino ai centottanta nel corso degli anni Sessanta-Settanta; oggi sono venticinque, e ritroviamo tra di loro non pochi passaggi generazionali. Non per niente uno degli insegnamenti che ci ha lasciato Aldo metteva l’accento proprio sulla non delocalizzazione, sull’impegno di restare qua sul territorio, disposti a chiudere prima di spostare la produzione all’estero.
Non si può parlare del maglificio Beby senza parlare del cashmere…
Il cashmere fa parte della nostra linea fin dagli anni Cinquanta, anche se all’epoca era una produzione più contenuta. Il punto di svolta è avvenuto agli inizi degli anni Duemila, quando abbiamo costituito un nostro marchio; un marchio che rappresentasse il nostro maglificio, che in questo modo lavorava non più solo conto terzi, ma si affacciava direttamente sul mercato. Non a caso si chiama “Casheart”, cuore di cashmere, ma anche arte del cashmere. Abbiamo tre negozi monomarca a Firenze, Cortina e Viareggio, completando in questo modo un ciclo di produzione che parte dalla rocca del filato e si completa totalmente nel nostri laboratori. Diverse scolaresche sono venuti a visitarci per osservare il nostro ciclo produttivo, visto che siamo rimasti veramente in pochi ad effettuare tutte le fasi nello stesso stabilimento.
Quali sono le caratteristiche del cashmere?
Il cashmere è una lana prodotta da un particolare tipo di capra che vive nella Mongolia cinese; la temperatura di quegli altopiani determina la produzione di un pelame diverso dalla comune lana – e questo lo si riscontra anche indossandolo: è una lana che tiene freschi se si ha caldo e scalda se si ha freddo, oltre naturalmente ad essere particolarmente soffice e piacevole al tatto.
Sulla parete dell’ufficio di Aldo Cangioli, accanto agli attestati di commendatore intitolati a lui e alla moglie, una frase di Churchill dice: qualcuno vede nell’azienda privata una tigre feroce, qualcuno una mucca da mungere – solo in pochi vi vedono quello che è: un robusto cavallo che tira un grande carico dietro di sé.