di Piera Salvi
Vengono dall’Africa ma sono temporaneamente “donne di qua”, che partecipano alla vita della comunità locale. Sono una decina di ragazze richiedenti asilo, che sono accolte nella casa Ivana Bardi della parrocchia di San Piero, attiva da tre anni e gestita dall’associazione PortAperta, per ospitare donne sole o con figli. Da giugno è una struttura di prima accoglienza per donne richiedenti asilo, gestita da PortAperta in collaborazione con il gruppo Incontro e la cooperativa Co&So.
Sono ragazze dai 19 ai 30 anni, che vengono da Nigeria, Eritrea, Camerun, Costa d’Avorio e altri paesi africani. «Ci siamo messi a disposizione» spiega il parroco, don Paolo Tofani per i pressanti inviti del vescovo di Pistoia e di papa Francesco all’accoglienza nelle parrocchie. Questo ci ha spinti a dare la disponibilità della struttura, che già aveva finalità di accoglienza e che, al momento, nella realtà pistoiese è l’unico Centro di accoglienza straordinaria riservato alle donne. Ho invitato la comunità parrocchiale ad essere accogliente, perché essere cristiani vuol dire prima di tutto avere un rapporto di fraternità con chi vive certe situazioni difficili». Com’è stata la risposta della comunità? «C’è chi ha risposto positivamente e chi ha espresso dubbi, ma il lavoro va avanti, perché la presenza di queste donne nella nostra parrocchia è un modo per aiutare la comunità all’apertura verso le differenze culturali e religiose».
Le giovani ospiti della casa Ivana Bardi, infatti, appartengono a varie religioni: cattolica, musulmana, ortodossa e protestante. Si è creata dunque anche una sorta di comunità interreligiosa, come quella fondata a Taizé da frère Roger Schutz, che inizialmente accoglieva rifugiati e orfani della seconda guerra mondiale e nello spirito del dialogo tra religioni che si è svolto ad Assisi proprio a settembre. «La regola principale per la convivenza» spiega l’operatrice Elisa Puggelli «è il rispetto reciproco. In casa devono cucinare il cibo e tenere pulito l’ambiente. Frequentano, come d’obbligo, un corso di lingua italiana, con l’associazione PortAperta che già li organizza da diversi anni. Poi seguono percorsi formativi e d’integrazione socio-lavorativa. Noi le stiamo inserendo nelle attività parrocchiali, anche perché questo serve per loro a capire le regole di una parrocchia e della società. Il 10 settembre hanno partecipato alla Marcia per la giustizia Agliana-Quarrata».
Tra le giovani accolte in questo periodo, una è all’ottavo mese di gravidanza. Diverse hanno figli nei loro paesi d’origine. Hanno storie tristi, che trovano difficoltà a raccontare, perché se la migrazione è sempre un dramma per tutti, per le donne ci sono rischi maggiori. Alcune hanno figli e sperano che la loro richiesta di asilo sia accolta e di poter trovare un lavoro e aiutare i loro figli a mangiare. Una trentunenne racconta di essere partita dal Camerun a gennaio e di essere arrivata ad Agliana a luglio. «Ho viaggiato in aereo fino in Libia» ricorda, «poi sono arrivata via mare in Italia. Il viaggio in mare è stato difficile, ho subito maltrattamenti e violenze, mi davano colpi in testa. Io non volevo lasciare il Camerun, ma sono stata costretta per cercare protezione». «Non ho sogni» dice un’altra ragazza «solo la speranza di trovare un lavoro».
Gli operatori di PortAperta che si occupano dell’accoglienza alle giovani migranti sono Elisa Puggelli, Elisa Pacini, Luca Bini Mezzanotte e Magdalene Afriyie (originaria del Gana, nata a Roma e da 12 anni ad Agliana), supportati da una decina di volontari di età molto varia, dai 20 agli 80 anni.