Ricordi e presagi

Ricordi e presagi

di Massimo Cappelli

giugno 2019

 

Intorno alla metà degli anni Sessanta quando io ero ancora bambino, arrivò in casa nostra la prima televisione. Ovviamente era in bianco e nero e la qualità delle immagini non aveva niente a che vedere con il digitale di oggi. Tuttavia, questo nuovo elettrodomestico fu molto apprezzato e ottenne da subito il gradimento di tutta la famiglia. Anche se aveva soltanto due canali, la programmazione finiva prima della mezzanotte e non era costante per tutta la giornata, mi sembrava offrisse una moltitudine di programmi: i varietà del sabato sera di Mina e Alberto Lupo, le gag di Carosello, le lezioni del maestro Alberto Manzi, la TV dei ragazzi con Zorro, Rin Tin Tin e via discorrendo. Attraverso i telegiornali e i loro approfondimenti, la televisione ci portava anche a conoscenza di ciò che accadeva nel mondo. Esattamente cinquant’anni fa, il 20 luglio 1969, Tito Stagno e Ruggero Orlando commentarono in diretta le immagini del primo uomo sulla Luna.

Ma fu proprio grazie alla televisione che all’età di otto o nove anni, riuscii a realizzare che tutti i bambini del globo non avevano la mia stessa fortuna; vivevano nel fango in villaggi fatti di capanne e mangiavano con le mani (poi ho capito che alcune pietanze come il cous cous, per esempio, si mangiano tradizionalmente con le mani). Ma anche per mangiare con le mani, bisogna averlo da mangiare, purtroppo la maggior parte di loro non lo aveva, e per questo erano destinati a morire. A morire di fame. Le crude immagini dei servizi facevano vedere queste piccole e indifese creature dai grandi occhioni neri, magrissimi, con testa e pancia smisurate che, pieni di mosche addosso, stavano in agonia sul loro giaciglio in attesa della fine. Queste immagini arrivavano con tutta la loro forza alle coscienze umane, facendo riflettere sulla situazione e sull’ingiustizia di come potessero esserci nel mondo queste grandi differenze sociali.

Noi, nella nostra posizione geografica invece, godevamo di un benessere mai vissuto fino ad allora, forse il miglior periodo mai visto dall’alba dell’uomo. A oltre un ventennio dalla fine della guerra, la ricostruzione aveva creato tanta ricchezza che veniva costantemente ridistribuita: i consumatori acquistavano prodotti tecnologici che offrivano loro più agio e comodità, e questo faceva da volano all’economia, creando ancora più posti di lavoro. Divenne allora desiderio di molti fare qualcosa per combattere la fame nel mondo e così prese campo la solidarietà, nacquero associazioni benefiche a favore di queste popolazioni più sfortunate, molti italiani aderirono alle loro richieste offrendo denaro, cibo o indumenti a questa gente, sperando in una futura uniformità sociale in tutto il mondo.

Dopo oltre cinquant’anni, sembra che questa uniformità la si stia raggiungendo. Certo, la fame nel mondo purtroppo non è stata ancora del tutto debellata, tuttavia alcuni di quei Paesi allora poverissimi, oggi sono progrediti diventando addirittura dei colossi dell’economia, per nominarne solo tre: Cina, India e Bangladesh. La conseguenza è che sono loro, adesso, a soddisfare molti fabbisogni dell’umanità, e noi dobbiamo arrenderci davanti a queste nuove potenze emergenti. Questo nuovo andamento economico crea, alla nostra latitudine, non pochi danni finanziari con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti. Questo nostro impoverimento sembra abbia indebolito non di poco la nostra sensibilità e il nostro altruismo: se cinquant’anni fa ci stringeva il cuore vedere un bambino morente, oggi molti restano quasi indifferenti vedendo persone che chiedono asilo per sfuggire alla guerra, alla miseria e alla morte. Sembra che, rispetto a qualche decennio fa, faccia meno indignazione anche la vista dell’immagine di un bambino morto affogato per il naufragio di un barcone.

Eppure, un po’ di tempo fa, la perfetta definizione della televisive di oggi, ci fece vedere questa disgrazia in maniera molto nitida: il cadavere del bambino disteso a faccia in giù sulla spiaggia con in dosso una maglietta rossa. Quel piccolo corpicino animato solo dalle onde del bagnasciuga, come se il mare lo volesse cullare, o tentasse addirittura di risvegliarlo.

Quindi non è un problema di definizione intesa come nitidezza delle immagini: non c’è più cieco di chi non vuole vedere. Questa indifferenza è sicuramente provocata dal nostro impoverimento, causando anche un altro tipo di impoverimento: quello dei valori. O forse il problema sta proprio nella definizione, intesa come espressione dei concetti e rilevamento dei contenuti? Se ai tempi delle immagini in bianco e nero chi era davanti alle telecamere cercava di fare appello al buonsenso comune mandando messaggi di pace e di uguaglianza, oggi chi ha questo potere si connette a ciò che c’è di peggio nell’animo umano: all’egoismo e all’individualismo, esortando alle divisioni e all’innalzamento di muri, alimentando ancor di più l’indifferenza. Sta di fatto che sarà molto difficile, per noi, tornare al benessere economico di qualche anno fa per il semplice fatto che i nostri privilegi derivavano proprio dalle disgrazie di altre regioni del mondo. Se il processo di avanzamento economico mondiale continuerà ridistribuendo ricchezza in maniera più equa, a noi, ahimè, non potrà andare che peggio, magari non moriremo di fame ma dovremo senz’altro ridurre ancora maggiormente il nostro tenore di vita. Questo toccherà soprattutto ai nostri figli. Una cosa positiva però ci sarà: non dovranno più dire ai loro bambini: «mangia tutto, non lasciare niente nel piatto, che c’è la fame nel mondo».

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