Sei un radical chic

Sei un radical chic

di Massimo Cappelli

settembre 2019

 

Il termine radical chic pare sia stato coniato in America negli anni Settanta. La rivolta studentesca del Sessantotto ottenne sì, molte conquiste sul piano socio-culturale, vincendo la sua lotta contro i reazionari, ma al tempo stesso lasciò anche un lungo strascico di banalità, per esempio (scusate il bisticcio di parole) molti sedicenti anticonformisti si conformarono volutamente all’anticonformismo. Come ho scritto nel “Concludendo” di marzo 2018, il tempo delle barricate non durò molto, furono invece molteplici e futili i cliché e che questo fenomeno lasciò per oltre un decennio, non risparmiando neppure l’alta società e sfociando direttamente nei nostri tragici “anni di piombo”. Il termine radical chic era rivolto a quelle persone appartenenti all’alta borghesia, che solo per moda o esibizionismo, avevano comportamenti proletari, disprezzavano il denaro, ma ne accumulavano in grande quantità facendo gestire ad altri i propri interessi. Il termine radical chic in Italia fu mutuato nel 1972 dal grande giornalista Indro Montanelli che scrisse un articolo per controbattere una collega sua nemica appartenente all’alta borghesia romana, poiché questa diceva di avere idee marxiste-leniniste, ma operava spesso non coerentemente a ciò che professava.

Da qualche anno, anche in virtù del vento che tira in politica, il termine radical chic è stato riesumato, ma a parer mio, come spesso succede, viene abusato, generalizzando, travisandone e banalizzandone il significato, e mi spiego meglio. Ambire a nuove conquiste e ad un continuo e costante miglioramento fa parte dell’indole umana sin dall’alba dell’uomo. Nel Vangelo possiamo trovare che anche Gesù Cristo, (primo “buonista” della storia) vestiva tuniche di lino, indumenti per allora molto pregiati. Visto, appunto, che l’obiettivo del genere umano da sempre è il raggiungimento del piacere, anche solo quello materiale, perché no, credo sia normale ambire a qualche accessorio nobile e pregiato, ad un’auto o a un orologio di prestigio, o quant’altro possa regalare un po’ di effimera felicità, soprattutto oggi, nella civiltà dell’immagine. Tornando agli anni Settanta, le griffe di abbigliamento allora erano molto costose e venivano indossate da pochissime, facoltose persone, come le grosse auto di prestigio, del resto; oggi invece qualcuno ha concepito gli outlet e le grandi marche di automobili hanno costruito anche le auto di bassa cilindrata e addirittura le utilitarie. Qualcosa nel costume, mi pare sia cambiato, no?

Secondo me la questione va osservata da un’altra angolazione, il problema viene fuori quando c’è l’ostentazione, il segno di distinzione, “io posso e tu no”, la derisione, l’odio, l’indifferenza per chi non appartiene al proprio ceto sociale. Sono sempre le persone che fanno la differenza, e gli oggetti che esse indossano o i posti che loro frequentano possono certamente essere anche simboli di classificazione sociale, ma non sempre, anzi, probabilmente chi dà a qualcuno del radical chic è proprio perché questo stato lo riconosce in se stesso. Io credo che la libertà di fare ciò che uno vuole senza invadere la libertà altrui sia una grande cosa, ma il termine “libertà” non è mai stato equivocato come in questi ultimi tempi. La libertà come la intendo io è soprattutto la libertà di tutti. L’ultima strofa della canzone popolare “Bella Ciao” dice “morto per la Libertà”, riferendosi al Partigiano divenuto un fiore, ma il partigiano è morto per la Libertà degli altri, visto che lui non è più al mondo.

Sono oltre trent’anni che per lavoro creo slogan e messaggi per suscitare attenzione in chi legge, in chi vede o in chi ascolta un annuncio pubblicitario e posso affermare che chi ha riesumato il termine radical chic cercando di manipolarne il significato, è qualcuno che vuole avere ragione a tutti i costi, e oggi ce ne sono molti, credetemi. Oggi non è importante perseguire la verità, importa solo avere ragione a tutti i costi, questo si ottiene spesso comunicando direttamente alla pancia delle persone, mettendo in evidenza elementi inconfutabili ma in assenza di analisi. Io credo che a molta gente oggi manchi la capacità di analisi e mi spiego: molte persone sono talmente limitate che riescono solo a vedere il bianco o il nero, il ricco o il povero, l’uomo o la donna, il giorno o la notte eccetera eccetera eccetera. Non hanno né capacità né sensibilità di capire, e sono proprio loro che si acchiappano con uno slogan.

La mattina presto quando accompagno mia figlia alla stazione, incrociamo spesso ragazzi di colore che vanno al lavoro in bicicletta, probabilmente a fare quei lavori che nessuno vuole più fare. Si intuisce che questi giovani sono dei migranti, prima di tutto perché non sono molti oggi ad andare al lavoro in bici, ma è soprattutto lo zaino che portano in spalla a fare la spia: uno zaino di Barbie o dei Pokemon ricevuto sicuramente dalla Caritas. Si sa, ognuno vede solo ciò che vuol vedere, io e Martina abbiamo notato lo zaino e la bici scassata, qualcun altro magari noterà sicuramente che hanno anche il cellulare e da questo può darsi sia molto infastidito, poiché considera quell’elemento uno status che attribuisce loro e una posizione sociale avanzata, in un paese che li ospita magari solo da pochi mesi.

Voglio concludere restando in tema di costume, in tutti i sensi, perché parlerò anche di costume da bagno e di abbronzatura. La tintarella venne lanciata da Cocò Chanel un centinaio di anni fa, prima di allora essere abbronzati voleva dire lavorare nei campi al sole e quindi segno di appartenere al popolo. Infatti, le signore dell’alta società, per mantenere la loro pelle diafana andavano in giro con guanti, veletta e ombrellino. Fu proprio la rivoluzionaria Cocò, amante delle attività all’aria aperta e delle poche stazioni balneari di allora, a mostrarsi con l’abbronzatura, trasformando in moda l’eleganza di una pelle dal colore ambrato. Oggi più che mai essere abbronzati è segno di potersi permettere lunghe vacanze, per cui uno più ha la pelle scura, più appartiene ad una classe sociale elevata. Ma allora, perdonatemi, perché chi con la pelle scura c’è nato, è considerato da molti di categoria inferiore?

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