di Giacomo Bini
Nelle librerie c’è un libro da non perdere, che riguarda i fiumi. L’autore è Stefano Fenoglio e il titolo è tutto un programma: “Uomini e fiumi, storia di un’amicizia finita male”. Mentre anche nel nostro territorio si riscoprono i “cammini dell’acqua” anche grazie a Publiacqua e ad alcune associazioni locali (si pensi al percorso delle Agne a Montale o a quello di Bagnolo a Montemurlo) la lettura del libro di Fenoglio aiuta a riscoprire una relazione, quella con i nostri fiumi, che abbiamo trascurato. Ci ricordiamo di loro solo quando ci impressiona la siccità oppure ci spaventa la possibilità di qualche inondazione. Per il resto, sembra che non ci siano. Li abbiamo cancellati perfino dalla vista.
L’autore fa notare infatti che mentre una volta quando si percorrevano i ponti era possibile vedere i fiumi ora, con i viadotti e tutto il resto, si passa sopra i fiumi e neanche ce ne accorgiamo. «Quando vado nelle scuole a parlare coi ragazzi» ricorda Fenoglio «mi accorgo che sono appassionati dell’ambiente e sanno dirmi molte cose di paesaggi lontani, conosciuti con le belle trasmissioni televisive sull’ambiente, ma spesso non sanno dirmi il nome dei fiumi e dei torrenti che passano vicino a casa loro». Il libro parte da una verità che abbiamo spesso dimenticato, cioè che la civiltà della specie umana sorge intorno ai fiumi. «Siamo una specie fluviale» dice l’autore «I fiumi modellano il paesaggio ma anche il nostro paesaggio interiore». Dalla Mesopotamia alla civiltà egiziana e all’impero romano tutto è ruotato sempre intorno ai fiumi, dall’economia alla politica, dalla cultura all’immaginario collettivo. «Ai fiumi si davano dei nomi fin dall’antichità» ricorda Fenoglio «mentre non si nominavano le montagne, gli uomini passarono da uno stadio nomade a uno sedentario grazie ai fiumi, con delle civiltà idrauliche. Chi dominava le acque governava il mondo». Anche la tecnologia è nata grazie ai fiumi dalle norie ai mulini, dalle turbine al «vapore bianco» delle filande, dall’illuminazione pubblica ai trasporti. é stata un’amicizia lunga e feconda quella tra la nostra specie e i fiumi, poi «qualcosa è andato storto». Abbiamo sempre canalizzato e orientato l’acqua, «che non sta mai ferma», ma ad un certo punto abbiamo preteso di raddrizzare i fiumi, di fare perfino argini di cemento, di costruire nel loro alveo, di scavarli con le scavatrici.
Ma soprattutto per Fenoglio la causa di tutti i mali è la perdita della conoscenza. Non sappiamo più nulla dei nostri fiumi, non li frequentiamo e quindi siamo diventati estranei, come degli amici che non si frequentano più da troppo tempo e finiscono per non riconoscersi. Per esempio non conosciamo più l’enorme quantità di specie che vivono nei corsi d’acqua. E non sono solo pesci, ma anche funghi e una biodiversità infinita. Nascono anche mille pregiudizi. Per esempio quello che sulle loro sponde non debbano esserci piante. Dipende, fa notare Fenoglio, perché ci sono piante idrofile, amiche dei fiumi che è bene che ci siano. E’ un libro da leggere, per imparare a ritrovare degli amici perduti, che, sebbene dimenticati, sono ancora al nostro fianco e non ci devono spaventare.