di Marco Bagnoli
Vi racconto una storia che può suonarvi strana; quindi prestate orecchio, state in campana. Erano i tempi che Pistoia era ambiziosa e seguitava ingorda la sua espansione nella piana; sono i primi anni del Duecento e tutto va bene. Soltanto i conti Guidi le tengon testa, ben piantati a muso duro, come il loro castello di Montemurlo. Pistoia raduna i suoi, precetta gli uomini del districtus, gente di Lamporecchio e di Batoni, e inizia la costruzione di un suo castello, tanto per far capire che passi in dietro non ha intenzione di farne. Nel 1206 il castello è ormai ultimato: il castello di Montale! Pistoia ci mette subito un castellano, lo fa giurare, vincolato a difendere ogni cittadino o distrettuale di Pistoia in tutta la sua terra, tenuto a ben custodire il maniero, impugnando l’arme contro gli uomini di Montemurlo e tutti i nemici della città. Il potestà di Pistoia, si adopera in promesse e garanzie: un terreno per la casa, l’uso di un orto e anche un’aia, subito fuor delle mura – addirittura l’esenzione fiscale per chi acconsentisse di divenire abitante stabile della fortezza. Passò in fretta il tempo che rese Villiano niente più che un nome, e il castello simbolo stesso del nuovo paese, Montale. La pace armata coi conti Guidi poteva dirsi fatta, già foriera di accordi, nero su bianco; finché costoro, non cedettero lo castello di Montemurlo nella grande mano del giglio di Firenze; era il 1254 e le cose cambiarono piega. Il resto della storia è la viva parlantina d’un testimone di lustro, quel Giovanni Villani che fu mercante, scrittore e cronista nella Firenze che scavalla il Duecento. Leggiamo dal libro nono che si intitola: “LXV Come i Fiorentini ebbono il castello del Montale, e come feciono oste a Pistoia co’ Lucchesi insieme”.
Ecco il racconto: “nell’anno di Cristo MCCCIII (1303), del mese di maggio, i Fiorentini ebbono il castello del Montale presso di Pistoia a quattro miglia, cavalcandovi una notte subitamente, e fu loro dato per tradimento di certi terrazzani (contadini)” tale Braccino di Montale ordì la congiura “che n’ebbono IIIM (tremila! – secondo alcuni seimila) fiorini d’oro, per trattato di messer Pazzino de’ Pazzi” alla guida de’ Fiorentini “che v’era vicino per la sua posessione di Palugiano”. Segue poi il fattaccio della demolizione, motivo dibattuto dagli storici, che non escludono una possibile riedificazione ad opera dei Neri. “Il quale castello era molto forte di sito, e di mura, e di torri; e come i Fiorentini l’ebbono, il feciono abattere e disfare infino nelle fondamenta, e la campana di quello Comune, ch’era molto buona, la feciono venire in Firenze, e puosesi in su la torre del palagio della podestà per campana de’ messi, e chiamossi la Montalina”.
E se ne sta ancora là, sulla vetta della Volognana, la torre del palazzo del Bargello. Oggi augusto loco museale, all’epoca sede del benemerito capitano di giustizia: questi era incaricato dell’ordine in tempi di crisi e disordini – non senza prerogative di reggenza dittatoriali. Peccato che, nonostante la bronzea ugola, la povera Montalina si farà la fama di malagrazia: serviva a radunare i giovani alle armi, ad annunziar’ esecuzioni, o per tafferugli e sollevazioni.
“E disfatto il Montale, del detto mese medesimo i Fiorentini dall’una parte e’ Lucchesi da l’altra feciono oste a la città di Pistoia, e guastarla intorno intorno, e furono MD (millecinquecento) cavalieri e VIIM (settemila) pedoni, e tornarsi a casa sanza contasto niuno”.
E a te che parli male di tutto e tutti… “ha’ la lingua lunga come la campana del Bargello, quando suona suona sempre a vituperio”.
Immagine: Giuseppe Zocchi, Il Bargello. 1744