di Massimo Cappelli
Questo è il frutto della tecnologia di ultima generazione che è riuscita a mescolare il mondo reale al mondo virtuale. Pokémon Go, come ci spiega Wikipedia, […] è un videogioco di tipo free-to-play basato su realtà aumentata geo-localizzata con GPS, sviluppato da Niantic per i sistemi operativi mobili iOS e Android, creato con la collaborazione di Game Freak, The Pokémon Company e Nintendo. Un gioco, certo, ma che ha provocato una grande tempesta mediatica in tutto il pianeta ed ha coinvolto milioni e milioni di persone, forse oltre un miliardo, motivandole a partire con il loro smartphone fra le mani, alla ricerca dei simpatici mostriciattoli colorati per le vie della loro città. Secondo Apple, Pokémon Go è stata l’applicazione mobile più scaricata nella settimana di lancio.
Come ogni genialità, Pokémon Go ha in sé una serie di elementi che indubbiamente hanno contribuito al suo successo. Prima di tutto la novità che vi si possa giocare solo con dispositivi mobili, facendolo soltanto in maniera itinerante. Secondo me l’ideatore ha un figlio adolescente che si rinchiude a ore nella sua stanza a giocare con la playstation, in rete, con i suoi amici da casa, da questo l’idea di fargli alzare le chiappe per andare a giocare fuori. Ma questa è un’idea mia. Altro fattore di successo la scoperta dei punti storici e i monumenti della propria città: il gioco, per catturare i mostri, ha bisogno di munizioni; queste munizioni si chiamano Pokéball, che si possono acquistare tramite la app, oppure ottenere gratuitamente ai Pokestop, che di solito sono dei “punti fermi” cittadini: chiese, monumenti, o altri punti di interesse locali che Google ha già da tempo contrassegnato. In questo modo, il “figlio adolescente” dell’ideatore del gioco potrà venire a conoscenza del fatto che nella sua città esistono dei monumenti che prima non aveva mai notato, ma che possono interessare al mondo intero per la loro storia.
Tornando quindi alla teoria di Maurice Merleau-Ponty, quando afferma che nel visibile c’è dentro l’invisibile, niente di più vero: di quel monumento che sta lì da cento anni e più, sia noi che i nostri figli, non ce n’eravamo mai accorti. Non lo avevamo visto mai fino ad ora che lo vediamo cagar giù palle rosse, bianche e nere. Che aggiungere? Nient’altro! Anche perché sono abbastanza confuso, forse la troppa realtà aumentata, aumenta in me il senso di smarrimento. Chissà perché pronunciando “realtà aumentata” mi fa venire in mente molti amici d’infanzia, primo fra tutti Alessandro Benini (si fa per scherzare Ale eh?). Vorrei però concludere con due o tre aforismi: “non tutti i mali vengono per nuocere”, o in riferimento alle nuove tecnologie, “non c’è niente che di per sé sia buono o cattivo, siamo noi che lo rendiamo tale”. Infine, facendo mia una frase del grande Roberto Rapezzi, scomparso il marzo scorso, affermo compiacendomi: “Il problema non è quando ci girano i coglioni, ma quando i coglioni ci girano… intorno”.