di Giacomo Bini. Foto: Bruno Tempestini.
dicembre 2021
La Bertina è un personaggio montalese che non c’è più ma il cui ricordo è ancora vivo in chi l’ha conosciuta.
Ha vissuto sempre da sola nel chiostro della Badia, unica presenza umana nel complesso abbaziale per decenni abbandonato e diroccato. Le facevano compagnia solo decine di gatti, che lei accudiva amorevolmente e di cui si fidava certamente più che degli esseri umani. Andava in giro a piedi a vendere, casa per casa, sapone e varichina che teneva in una grande borsa. Era l’epoca in cui si poteva bussare e entrare nelle case facilmente, senza tanti cancelli, porte blindate o sistemi di allarme. La Bertina era accolta da tutti volentieri; tutti la conoscevano e l’aiutavano e soprattutto, erano disposti a scambiare con lei qualche parola. Si poteva vedere spesso in chiesa, seduta sull’ultima panca, col capo abbassato in atteggiamento di preghiera. Era molto credente, di una religiosità antica, un po’ intrisa di superstizione e caratterizzata dall’inquietudine che le forze del male fossero presenti e minacciose. Si lamentava spesso di oscure congiure ordite contro di lei che si manifestavano con la scomparsa improvvisa di qualcuno dei suoi gatti. Ed erano sempre i più belli a sparire, rapiti, lei diceva, «per spregio». Quest’idea che ci fosse qualcosa o qualcuno che voleva farle del male, in particolare nella parte femminile del genere umano, si era forse formata in lei anche in seguito alle angherie che aveva subito durante un ricovero in quell’inferno che un tempo si chiamava manicomio e che per fortuna, anche se troppo tardivamente, è stato cancellato dalla nostra società. In realtà la Bertina era una persona dolce e buona, rispettosa e gentile, una presenza discreta e amichevole, che non chiedeva mai nulla a nessuno, quasi orgogliosa della propria autosufficienza.
Intorno a lei il mondo cambiava rapidamente: il boom edilizio ed economico, l’aumento delle auto per le strade, i rumori e la frenesia crescente della modernità. Lei invece continuava a camminare al suo passo, lento e silenzioso, piegata su se stessa, con la sua sporta in mano. Tutti la conoscevano e le volevano bene a Montale, ma era sconosciuta al sistema sanitario e ai servizi sociali. Non si ammalava mai e non aveva mai bisogno di niente. Le bastavano i suoi gatti e solo quando parlava di loro sul suo viso si dipingeva un raro sorriso.
Ad un certo punto, nel 1995, il complesso della Badia fu oggetto di una ristrutturazione e lei fu costretta ad abbandonare quella che fino ad allora era stata la sua casa. Fu trasferita in una roulotte nella piazzetta della Badia per consentirle di stare ancora vicina ai suoi gatti. Ma ormai la sua vita non poteva più essere uguale a quella di prima e lei si intristiva ogni giorno di più. Due anni dopo, nel 1997, per poco non morì nella roulotte in seguito ad una malattia da raffreddamento e i servizi sociali la sistemarono in un appartamento nei pressi del Comune. Ormai era stata raggiunta dalla civiltà moderna e a lei questo non piaceva affatto. Alberta Breschi, questo il suo nome all’anagrafe, aveva assistenza, riscaldamento, acqua corrente e anche una pensione sociale, ma si sentiva sradicata. Continuava ad andare a trovare i suoi gatti alla Badia e a girare casa per casa, ma ad un passo sempre più faticoso e incerto.
Nell’aprile del 2003, in seguito ad un aggravamento delle sue condizioni di salute, fu ricoverata nella Rsa Le Lame di Agliana, e un mese dopo morì, l’8 maggio, all’età di 85 anni; fu un dolore per tutti quelli che erano abituati a vederla e ad incontrarla. Montale la ricorda con affetto.