di Marco Bagnoli
dicembre 2023
Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Laura Macchi, una giovane archeologa di 27 anni. Laura sta completando la Magistrale in Archeologia funeraria presso l’Università di Bologna, e il suo entusiasmo è particolarmente coinvolgente.
Come è nata la tua passione per l’archeologia?
«Fin da quando ero piccola ho sempre avuto un’attrazione forte verso la storia, il capire il perché di certe dinamiche storiche, migrazioni di popoli, storie e intrighi delle corti di tutto il mondo. Mi ricordo anche che quando ero all’asilo cercavo compagni di gioco per scavare la terra nel giardino di scuola, allo scopo di trovare oggetti preziosi e dinosauri, convinta senza ombra di dubbio di trovarceli. Quindi è una passione che mi porto dietro da tanto. Dopo il liceo però, per paura di non trovare lavoro e forse anche per l’ingenuità e la poca maturità che hanno i ragazzi di diciotto anni, mi iscrivo a Storia dell’arte all’Università di Firenze. Ma alla fine del secondo anno capisco che non è quella la mia strada: troppo statica, troppo teorica, troppo da scrivania come materia. La vita mi voleva da un’altra parte. Quindi decido di iscrivermi ad Archeologia all’Università di Pisa, e lì cambia tutto».
Fare l’archeologa non sarà certo come nei film di Indiana Jones, eppure sono sicuro che si tratta comunque di un’avventura in piena regola, un’avventura nel pozzo del tempo.
«Una campagna di scavo è sempre un’avventura! Ma ci pensate che ogni mattina un archeologo si alza e non sa davvero cosa lo aspetta sotto mezzo metro di terra, un tesoro prezioso, un antico guerriero o anche nulla? Eppure siamo sempre animati da un forte spirito di ricerca, di entusiasmo per il fatto di non sapere mai cosa ci aspetti, cosa la storia ci ha preservato. Lo scavo archeologico è una fotografia, un’istantanea del passato. Sta solo aspettando di essere trovato. La mattina ci alziamo molto presto per sfruttare le poche ore di fresco dei giorni estivi, scaviamo fino all’ora di pranzo con piccole pause per rifocillarsi, bere e stiracchiarsi. È un lavoro di squadra, un archeologo non può lavorare in solitaria, ha bisogno di tutto l’aiuto possibile e anche grazie a questo che si creano bellissimi legami durante gli scavi. Si fatica tanto, ma ci si diverte anche tanto insieme, uno scavo non è mai noioso».
In ottobre sei anche andata in onda su Rai Storia. Parlaci di questa tua esperienza in Sicilia.
«È stata un’esperienza fuori dal normale. Lavorare in stretto contatto con la Rai è stato emozionate e faticoso, anche. Avevamo esigenze diverse e cercare di capirci e venirci incontro in Sicilia, con 45 gradi, certo non è stato facile. Però sono grata alla Rai per aver portato sul piccolo schermo l’attività dell’archeologo, perché in Italia non siamo valorizzati come dovremmo. È un lavoro molto particolare, ma la trasmissione è riuscita a esaltarne le parti più interessanti, quali i momenti di scoperta, le osservazioni e le interpretazioni che facciamo sullo scavo. L’archeologia non deve rimanere nella cerchia ristretta di noi addetti ai lavori, è importante che si apra anche alla comunità che ci accoglie e a tutti coloro che si interessano a questo mondo».