di Giacomo Bini
giugno 2021
Durante il lockdown si è parlato molto di scuola. Appena le scuole sono state chiuse sono salite al centro dell’attenzione nazionale. Tutti a parlare di banchi e di strutture, di orari scolastici e di trasporti per gli studenti, tutti a deplorare il grave danno sociale della chiusura delle scuole e ad esaltare l’importanza dell’istruzione. Appena però si è intravista la via d’uscita dalla pandemia e si è iniziato a parlare di ricostruzione e di ripartenza, le scuole sembrano a poco a poco uscire dal palcoscenico del dibattito pubblico, superate da altri aspetti della vita sociale, ugualmente importanti, come la ristorazione, il turismo, lo sport, il lavoro, le opere pubbliche e naturalmente la salute. Tutto giusto, intendiamoci, ma attenzione a non dimenticarsi la scuola, perché tra le tante arretratezze da ridurre nel Bel Paese quella riguardante l’istruzione non è la meno importante.
Per questo dedichiamo questi appunti di redazione ad alcuni dati statistici come promemoria. L’Italia è penultima in Europa per numero di laureati: soltanto il 27,6% dei giovani tra i 30 e 34 anni ha completato gli studi universitari, contro il 40,3% della media dell’Unione Europea. Non sta certo a noi indagare le ragioni di questo divario ma le conseguenze è facile immaginarle: minori competenze nella pubblica amministrazione, minore capacità di innovazione in ogni attività economica, minore possibilità di sviluppare scienza e tecnologia. I giovani laureati italiani sono quasi sempre molto ben preparati, ma sono pochi e spesso i migliori vanno a fare ricerca e a lavorare all’estero. L’obbiettivo dell’Unione Europea era raggiungere la media del 40% dei laureati. Gli stati membri nel loro complesso hanno raggiunto il traguardo già nel 2018 ma l’Italia, pur avendo raggiunto il suo obiettivo nazionale fissato al 26%, resta molto indietro. Peggio ha fatto solamente la Romania, con il 25,8% di giovani che hanno terminato l’istruzione terziaria.
Un altro dato rilevante è quello degli abbandoni scolastici, cioè della percentuale di ragazzi che lasciano la scuola prima di avere completato gli studi obbligatori. In Italia la percentuale è del 13,5%, il quarto dato peggiore in Unione Europea. La media europea è del 10,2% e il tasso di abbandono italiano è superato soltanto da quello della Spagna (17,3%), di Malta (16,7%) e della Romania (15,3%). Se poi si aggiunge a questi dati l’indice di lettura dei libri che ci vede agli ultimi posti con solo il 40% di persone che leggono almeno un libro all’anno rispetto ad una media europea del 60 per cento, si conferma che nel campo della scuola c’è molto da fare. Ma soprattutto bisogna che della scuola si discuta, che si consideri importante nel contesto del dibattito pubblico e dell’informazione. Invece anche nelle redazioni dei giornali si tende a occuparsi di scuola in modo stagionale, come per la vendemmia e la raccolta delle olive, cioè quando iniziano le lezioni e quando si svolge l’esame di maturità. Per il resto, di cosa succede nella scuola durante l’anno, ci s’interessa molto meno.
Un piccolo esempio, per concludere: il ministero ha stanziato dei soldi per finanziare attività didattiche estive, facoltative, nelle scuole italiane, anche per compensare un po’ al tempo di scuola in presenza che è stato perduto nella pandemia. Si dà il caso però che nella maggior parte degli edifici scolastici fa troppo caldo nei mesi estivi per svolgere qualsiasi attività, anzi già a maggio la temperatura, specialmente ai piani alti, diventa quasi insopportabile e nelle aule iniziano ad apparire i ventilatori. Un sistema di areazione efficiente sarebbe anche una buona prevenzione contro la diffusione dei contagi, senz’altro migliore di banchi a rotelle.