di Giacomo Bini
marzo 2024
I dati di Confcommercio sulla diminuzione dei negozi al dettaglio a Pistoia negli ultimi anni sono impressionanti, ma purtroppo non sorprendenti. Sono infatti in linea con le statistiche nazionali e con le tendenze presenti da molto tempo e che non hanno trovato finora adeguate contromisure.
Veniamo ai numeri: nell’arco di dieci anni sono scomparsi a Pistoia 213 negozi. Nel 2012 le imprese legate al commercio al dettaglio nel centro storico erano 517, oggi sono 377 con un calo del 27 per cento. Non vanno meglio le cose per i negozi fuori dal centro storico che erano 447 nel 2012 e nel 2022 sono calate fino a quota 374 con un tasso di mortalità commerciale del 16 per cento. Si potrebbe pensare che un grosso colpo lo abbia dato la pandemia da Covid 19, ma sarebbe un’ipotesi poco fondata perché la curva al ribasso era già presente purtroppo anche prima dell’arrivo del virus. Nel 2019 i negozi in centro erano già crollati a 419 e quelli fuori dal centro a 379. Dunque il Covid non c’entra. Nel complesso di tutte le attività, in centro e fuori, i numeri dicono di un calo di circa il 22 per cento: da 964 a 751.
La tendenza nei piccoli e medi centri, come quelli della nostra piana, è simile, anche se non disponiamo al momento di dati certi, e la moria dei negozi è sotto gli occhi di tutti come è visibile la scarsa durata degli esercizi che aprono e non riescono a tenere a lungo il bandone aperto. La concorrenza della grande distribuzione, il proliferare dei centri commerciali, che è ancora in corso, l’impennata e il continuo sviluppo del commercio on-line e dei colossi che lo egemonizzano. Fattori sociologici e psicologici contribuiscono ad accentuare la tendenza come il dominio dello smartphone sul nostro tempo di vita che ci porta a cercare ciò che desideriamo comprare nella rete anziché nelle strade del centro e il martellamento che subiamo sul telefonino di proposte di acquisto calibrate sulle nostre abitudini di ricerca personale.
Non spetta certo a noi suggerire le soluzioni perché a questo sono preposte le istituzioni della politica e le associazioni di categoria. Noi ci limitiamo a ribadire quanto più volte abbiamo fatto notare, cioè che l’abbassamento di una saracinesca e lo spegnimento di un’insegna costituisce un danno alla collettività in termini di sicurezza, di aggregazione sociale e di qualità della vita. Forse però non dovremmo solo aspettare che le soluzioni arrivino dalle istituzioni ma dovremmo fare uno sforzo anche individuale. Come si vanno a cercare i prodotti più sani e biologici per tutelare la nostra salute e per farlo siamo disposti anche a pagare qualcosa in più, così forse dovremmo sforzarci di privilegiare l’acquisto nei negozi per tutelare il bene sociale costituito dal commercio al dettaglio.
Tenere in vita un negozio, dall’edicola alla bottega, significa salvaguardare un mondo di relazioni che rischia di scomparire. Ce lo ha ricordato proprio qualche giorno fa una mostra di acquerelli di Mauro Andreini alla villa Smilea di Montale dedicata ai “vecchi posti di provincia”, a quel mondo paesano di cui i più avanti negli anni hanno un ricordo dolce e nostalgico. Al centro di quel mondo c’erano le cosiddette botteghine, quei luoghi magici in cui si vendeva di tutto dagli alimentari ai prodotti per la casa. Ne era un esempio magnifico il famoso Gigi del Mulo ad Agliana, un luogo rimasto con grande affetto nella memoria di molti della nostra piana.