Elio Bonnano – diario di viaggio di un artista

Elio Bonnano – diario di viaggio di un artista

di David Colzi

giugno 2015

Il tentativo che fa ogni artista nel suo percorso creativo, è quello di cercare una propria identità, per realizzare qualcosa di personale, unico e riconoscibile. Per Elio Bonnano, questo vale anche nella sua vita, che è stata a tutti gli effetti un’avventura degna di un romanzo, alla ricerca di un luogo da chiamare “casa”.

Tutto è cominciato negli anni ‘30, quando babbo Corrado, siciliano di origine, si lanciò come tanti nell’avventura colonialista dell’Italia di Mussolini, arrivando in Etiopia alla ricerca di un riscatto economico. Qui conobbe una modella di sartoria, e decise di mettere su famiglia con lei, anche se ne aveva già una in Sicilia; fu per questo che non poté dare il suo cognome, “Bonanno”, ai 5 figli che nacquero da questa relazione, poiché all’epoca in Italia non si poteva ancora divorziare. «Quando il babbo morì nel ‘64, noi fummo considerati figli di nessuno, dato che avevamo il cognome Bonnano» ricorda Elio. Eccoci dunque alla ricerca di identità a cui accennavamo all’inizio, che per ogni individuo inizia con il proprio nome e cognome. A riguardo Bonnano ci fa sapere che di nomi ne ha avuti addirittura due durante l’infanzia: a scuola, si chiamava Elio, mentre a casa aveva il nome etiope Tewade, che significa “sintesi di armonia”. Fra i due nomi, qual è quello che la rappresenta di più oggi? «Io sono un’unione di entrambi; sarebbe come chiedermi se amo più l’Italia o l’Etiopia», dice l’artista. Dopo il periodo difficile dell’alfabetizzazione, che in Etiopia iniziava a 3 anni, studiando il Vangelo in Amarico (la lingua ufficiale), Elio poté entrare a 8 anni in un college americano, nella capitale Addis Abeba. «Vivere immerso in così tante culture diverse, dentro e fuori casa, fu esaltante» ricorda Bonnano.

Ma a cambiare le carte in tavola ci pensò la Storia, che nell’Etiopia degli anni ‘70 ebbe il volto feroce e disumano di un colpo di stato; a questo punto Elio, non ancora maggiorenne, dovette scappare raggiungendo sua sorella Iole a Roma, dove lei abitava già da qualche anno, così come poi avrebbe fatto tutta la famiglia. A lenire le ferite di questo giovane esule, ci pensò l’arte: «Dopo 3 giorni dal mio arrivo in Italia, mi portarono a vedere il colonnato del Bernini in piazza San Pietro e rimasi folgorato da tanta bellezza!» ricorda Bonnano. Ma l’Italia non era solo una terra promessa dove ricongiungersi con le radici paterne, era anche un paese provinciale e chiuso, impreparato ad accogliere chi veniva da fuori. Così il nostro Elio, che parlava più l’inglese che l’italiano, si sentì straniero in patria, come dice lui, e gli studi intrapresi al liceo artistico a Roma, furono inconcludenti: «Anche la lingua è identità, e non parlarla genera emarginazione». Bonnano dopo qualche anno arrivò in Toscana, a Prato, con il desiderio di iscriversi all’Accademia di Belle Arti di Firenze; qui conobbe la sua futura moglie Monica, e dopo poco ebbero il loro primogenito Oscar, a cui poi seguirono Martino e Miriam. Oggi vive immerso nel verde di Tobbiana con la sua famiglia.

Una vita avventurosa la sua. In questo lungo e travagliato viaggio, cosa ha rappresentato l’arte per lei? «La salvezza!»dice sicuro Bonnano. A proposito di salvezza, notiamo subito che nei suoi lavori compaiono molti angeli… «Loro sono ciò che manca all’umanità. Io li disegno con i piedi ben piantati per terra, perché non li intendo come creature ultraterrene, anche se hanno le ali». Altro tema caro all’artista è l’uovo, contenitore dell’anima e gli alberi, un tema quest’ultimo sviluppatosi dopo l’attentato dell’11 settembre 2011. Riguardo alla tecnica, vedo che lei usa principalmente la matita e poco il colore. «C’è un mistero nell’uso della matita» dice Bonnano «è uno strumento semplice, banale, alla portata di tutti, ma al contempo è di una complessità indescrivibile. La tecnica della matita ti obbliga a capire il passaggio fra natura e segno, attraverso le ombre, per cercare la luce». Un’ultima domanda: che significato ha la sua acconciatura rasta? «E’ un atto di libertà, per riscoprire le mie radici africane. I capelli così li portavano i partigiani etiopi che per anni combatterono gli italiani invasori durante il periodo del fascismo. Un po’ mi sento partigiano anche io…» conclude sorridendo Elio Bonnano.

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