di Marco Bagnoli
novembre 2011
C’era una volta, nella città di Pistoia, un funzionario di dogana, di nome Ferdinando: veniva egli da una nobile famiglia montalese, quella dei Nerucci; divenuta la di lui sposa nientemeno che la figlia dei marchesi Niccolini di Firenze, Elisabetta, nipote del grande drammaturgo Giovan Battista Niccolini. Un bel giorno di maggio del 1828, la loro villa davanti l’Ospedale del Ceppo, fu allietata dall’incontenibile gioia di una nuova nascita, quella del loro figlio Gherardo.
Il piccolo Gherardo abitò nella grande casa assieme ai genitori e al fratello Neruccio fino all’età di sedici anni, quando prese la decisione di iscriversi a Diritto civile, canonico e criminale all’Università di Pisa, e quindi partì. Lungo il cammino dei suoi studi, tra esami insormontabili e professori barbuti, Gherardo fece amicizia con alcuni studenti greci, che gli insegnarono il greco moderno e che consegnarono a lui la fiammella magica che sarebbe poi divampata nel suo acceso patriottismo. Dopo solo un anno dal suo arrivo, fondò una società letteraria. Ma un gruppo ben più agguerrito sarebbe divenuto quello del battaglione Universitario Toscano, che nel ’48 lasciò Pisa per la spedizione di Curtatone e Montanara: camminavano al suo fianco molti giovani uomini, che erano di già morti fin sopra la punta dei capelli, ma che ancora non lo sapevano. Nel 1849 torna a Pisa e quattro giorni dopo aver festeggiato il suo ventunesimo compleanno viene incoronato principe del foro, con tanto di pergamena del Magnifico Rettore.
Inizia il praticantato presso uno studio di Roma ed è proprio all’ombra del Sacro Soglio che fa la conoscenza di Domenico Comparetti, con il quale resterà amico per tutta la vita: è infatti adesso che Gherardo si dedica allo studio dei classici e ad alcune incursioni nel poco ordinario, con le sue prime letture di orientalistica. Nel ’58 lo troviamo a Firenze, dove ha preso l’Avvocatura, assiduo frequentatore della vita teatrale e determinato collaboratore della rivista “Lo Scaramuccia”, sul quale pubblica i primi capitoli del suo debutto satirico, “La Cometa”. Il 27 aprile del 1859 prende parte alla sollevazione popolare che decreta la cacciata del granduca di Toscana. Con l’andare del tempo prende sempre più campo quella sua attività di letterato in erba, soprattutto per quanto riguarda il versante della saggistica, che parte dall’ambito della critica teatrale per allargarsi ad affermare una competenza filologica sempre più riconosciuta. All’indomani dell’unificazione del ’61, forte di un insopprimibile sentimento di cocente disillusione, Gherardo Nerucci prende la decisione di abbandonare la professione di avvocato per dedicarsi definitivamente all’insegnamento; la pur meritata cattedra di greco gli viene negata tanto a Firenze quanto a Pisa, in circostanze oltretutto viziate da verosimili favoritismi in favore di altri candidati. Alla fine sarà costretto a tornare ad abitare nella villa di Màlcalo, in seguito all’assegnazione al ginnasio Forteguerri di Pistoia.
Nel 1863 il suo interesse per la filologia e la passione per la narrativa s’incontreranno felicemente nella pubblicazione di una raccolta con annotazioni di cento favole di Esopo. Seguiranno i lavori sul linguaggio, sui “parlari vernacoli” della Toscana, le odi e le poesie – una ricca produzione che troverà la summa ideale nelle Sessanta novelle popolari montalesi, pubblicate a Firenze nel 1880; “Non sono le Novelle Montalesi scritte in pretto vernacolo”, precisa il Nerucci nell’introduzione “ma sibbene in quella parlatura che sta fra il vernacolo e la pretenzione del dir polito adoperata dai narratori, massime quando non sieno contadini abitanti di luoghi lontani e isolati su per i colli”. Inoltre il narratore lascia quante più tracce possibili, poiché “è stimato novellatore di vaglia chi sappia con sue idee, con invenzioni proprie o tolte dal magazzino novellistico ampliare il racconto”; proprio come in “Zelinda e il Mostro” dove “c’era una volta un pover’omo, che aveva tre figliole; e siccome tra di queste la più piccina era anco la più bella e garbata e di naturale dolce…”
Alcuni disegni di Nerucci.
Archivio fotografico: bellinigabriele.it