di Marco Bagnoli
dicembre 2023
Giacomo Berti ha trent’anni, e metà della sua vita l’ha passata a disegnare. Dallo scorso marzo, poi, questa sue capacità si sono trasformate in una professione. Solo che Giacomo non disegna sulla carta, non usa i pennarelli o l’inchiostro della biro. Infatti è un tatuatore, e quando si reca al lavoro a Montale, trova ad attenderlo il cliente, e la sua pelle. Lui ci dice che una persona brava a disegnare non è automaticamente anche un buon tatuatore, perché la mano è importante, e si vede, ma ancora più importante è la padronanza della componente tecnica che sta dietro al tatuaggio. E le più moderne macchine, sempre più automatizzate, riescono forse ad agevolare l’emergere dell’artista tatuatore. Ad ogni modo, Giacomo è sempre stato bravo a disegnare, e anche a scuola era molto richiesto. E lo diventò ancora di più dopo essersi fatto il suo primo tatuaggio, giusto sui banchi di scuola. Questo primo tatuaggio se lo fece lui stesso, con una macchinetta comprata insieme a degli amici. E i ragazzi iniziarono proprio a essere interessati a questa sua nuova capacità in erba. L’esperienza se l’è fatta tra amici e conoscenti, e poi col conseguimento dell’abilitazione ovvio; questa è arrivata proprio in tempo per l’arrivo del Covid, e tutto è stato per forza rimandato. Giacomo è per forza di cose molto informato sul mondo dei tatuaggi. Oggi sono sempre più diffusi, tanto quelli classici che quelli più originali e innovativi, compresi anche quelli banali.
Ma allora questo è un modo sicuro per riconoscere le persone più creative da quelle più “borghesi”; non proprio, dice lui, perché alle volte è vero proprio il contrario, il tatuaggio non fa il monaco. E comunque un tatuaggio invecchiato da decenni potrebbe benissimo decorare il corpo di una persona che nel frattempo ha fatto esperienze, ed è cambiata. Insomma, non si può proprio giudicare dalle apparenze. E questa è una considerazione quanto mai significativa, perché viene da una persona che da ragazzo ha sentito in qualche modo il peso del giudizio altrui. Ma oggi le cose sembrano essere diverse, Giacomo percepisce la positiva “indifferenza” delle persone che vedono lui e i suoi tatuaggi: è diventata una cosa perfettamente normale averli, mentre una volta ti mettevano in guardia che così non trovavi lavoro. Oggi non tutto è cambiato e sono rimaste poche le professioni che non accettano tatuaggi in vista. Bene quindi.
Ma allora tutta la forza di rottura del tatuaggio dove finisce? ci chiediamo noi. Forse resta la parte migliore di tutta la faccenda, ovvero il desiderio di esprimersi, di vivere un’esperienza per se stessi prima di tutti. Soprattutto di instaurare una relazione tra le persone basata sulla fiducia: prima di tutto la fiducia tra il cliente e il tatuatore, che si trova a lavorare su una materia quanto mai preziosa e delicata. E poi non dimentichiamo che il cliente tatuato si offre comunque allo sguardo altrui, confidando appunto su un giudizio estetico, magari artistico, ma certo non morale.
E il prossimo che si farà Giacomo quale sarà? Ormai è un pezzo che non se ne fa uno, ma quasi sicuramente non andrà in cerca dell’idea strana o particolare: sceglierà piuttosto un artista del tatuaggio cui affidarsi, un autore da lasciar esprimere al meglio, per conservarne l’opera, per sempre. O almeno fino a quando non deciderà di far intervenire il laser di un dermatologo, per eliminarlo, o per correggerlo. Magari Giacomo si metterà nelle mani di qualche talento estero in visita in Italia, a costo di andare a incontrarlo fuori dalla Toscana.
In attesa di diventare lui stesso un grande nome, Giacomo prosegue come ha cominciato, con serietà: non si è messo a tatuare ad ogni costo, ma solo quando si è sentito pronto, consapevole di creare qualcosa di bello. E nel riguardare i tatuaggi che si porta addosso, ecco che rivede quel giorno e quell’occasione particolare in cui il suo corpo e la sua pelle restarono esposti alla puntura amichevole di un piccolo grande artista.