di David Colzi
dicembre 2013
Il simpatico novantatreenne Giulio Vannucci fa parte della storia di Fognano e della sua gente. Una persona ancora lucidissima che ci ha raccontato la sua vita partendo dalla giovinezza, che per quelli della sua generazione è stato sinonimo di guerra, e a lui è costata 6 anni, 1 mese e 13 giorni lontano da casa, cioè fino al 24 aprile del ‘46. Partito da Fognano nel marzo del 1940 per prestare servizio militare presso il “3° Reggimento Fanteria di Messina”, Giulio ebbe la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato; infatti dopo 10 mesi di leva, venne stanziato con il battaglione Tobruk in Libia, e dato che nel giugno di quell’anno l’Italia fascista entrò in guerra, il giovane Giulio si trovò subito in prima linea, e fu fatto prigioniero nel ‘41 dagli inglesi, assieme ai suoi compagni. Iniziò così una serie di spostamenti coatti, dal deserto libico, all’Egitto, al sud Africa, fino all’Inghilterra. «Il deserto è stato il periodo più duro;» ricorda Vannucci, «abbiamo sofferto il caldo e la fame, mangiando per molto tempo solo riso e lenticchie». Il deserto non era solo sinonimo di caldo insopportabile di giorno, ma anche di freddo intenso quando calava il sole. Fu così che una notte Giulio e i suoi commilitoni accesero un fuoco di sterpaglie per scaldarsi, e un aereo inglese, scambiando il campo di prigionia per un assembramento nemico, gli sganciò addosso una bomba; Giulio si salvò schiacciandosi a terra, mentre il compagno vicino a lui fu colto in pieno da una scheggia. Quella notte morirono 75 italiani. Ricorda Vannucci: «Appena mi accorsi di ciò che era accaduto, andai a soccorrere il mio amico, ma capii subito che non c’era niente da fare, così lo tenni fra le braccia e poi lo adagiai dolcemente sulla sabbia: non aveva ancora 20 anni».
Sorte migliore gli toccò nell’ultima tappa di Inghilterra, quando ai prigionieri veniva concesso uno spazio di 5 miglia in ogni direzione per muoversi e il lavoro nelle fattorie ridava loro un po’ di dignità. Nel ‘46, ci fu finalmente il rimpatrio e il ritorno a casa. Sull’onda emotiva dell’esperienza bellica Giulio decise di scrivere le prime poesie, in modo che la sua terribile storia non venisse dimenticata. Scrive in “1946. Poesia del mio ritorno dalla prigionia”: Ed ora queste ottave qualcun le impari, quel che v’ho detto le un’è novella, ve l’ho spiegato proprio in versi chiari, quel che v’ho detto io non si cancella. La poetica di Vannucci si è poi aperta ad altri temi, sempre rispettando l’ottava rima; ecco allora “Poesia sull’inverno che non vuole cedere il posto alla primavera”, “Poesia degli anziani”,“Poesia per lo scultore Jorio Vivarelli che ci ha fatto il monumento qui a Fognano”, “Giugno 2008. Poesia per il nuovo Sacerdote” e “Poesia sul contadino”. Quest’ultimo titolo dimostra l’attaccamento di Giulio alla terra, d’altronde anche lui, come molti della sua generazione, è cresciuto in una famiglia contadina. E tra un mestiere e un altro, ha sempre lavorato nei campi, prima aiutando i genitori e poi il fratello Dino, rimanendo poi lui a coltivare il terreno di famiglia, anche se oggi si limita ad aiutare le nipoti Laura e Sandra.
Per parlare della sua vocazione di sacrestano, bisogna invece tornare indietro all’epoca della prigionia in Inghilterra; durante il suo “soggiorno” a Cochester, 42 miglia da Londra, il nostro sacrestano andava tutte le domeniche alla messa del primo mattino e rendendosi conto che il prete era solo sull’altare durante la funzione religiosa, si offrì di aiutarlo, ricordandosi di quando era chierichetto. Scrive nel suo libretto: “Il mio verso – Poesie di Giulio Vannucci”: In quegli anni lunghi anni fuori dalla famiglia la Fede mi è stata vicina e io sono stato sempre a lei fedele. Mi faceva andare avanti e pensare che un giorno tutto sarebbe finito e avrei rivisto i miei cari. Tornato a Fognano, ha continuato a servire messa nella chiesa del paese e negli anni è diventato un punto di riferimento per la comunità e i suoi fedeli, oltre che una memoria storica, offrendo i suoi ricordi di montalese a chi deve fare una ricerca o una pubblicazione. Ma qual è il segreto di una vita così lunga e attiva? «Il segreto» dice Vannucci «sta nella disponibilità verso gli altri, nella voglia di essere buoni cittadini e cristiani, senza serbare rancore o invidia per nessuno».