di Carlo Rossetti
marzo 2017
Un libro molto importante quello scritto da Martina Santi per raccontare un’esperienza che fino a poco tempo fa le ha condizionato la vita, impedendole di godere di quelle gioie che specialmente in età giovanile, sembrano essere un diritto inalienabile. Importante prima di tutto per lei che, liberatasi dal peso di un’angoscia soffocante, ha potuto parlarne con serenità; altrettanto necessario per l’enorme contributo che può dare a quanti si trovino nelle sue stesse condizioni. E’ la testimonianza di un percorso esistenziale dove la sofferenza è stata il leitmotiv di una vita vissuta come in una trappola.
Affetta fin dall’età di quattro anni da un disturbo ossessivo compulsivo che va sotto il nome di DOC, ha dovuto sottostare alla sopraffazione di un pensiero distorto, privo di qualsiasi logica, che le ha imposto ora dopo ora, giorno dopo giorno, di vivere un’angoscia giornaliera che le minava l’anima e la rendeva schiava, fino a spengere i colori della sua giovane vita. E’ un racconto circostanziato dove un lettore comune non può riuscire a capire il meccanismo perverso che sta alla base della patologia, perché di patologia si tratta, ma può invece intendere quale sia stato il grado di sofferenza che ha accompagnato Martina per tanti lunghi anni.
Non c’è da stupirsi di questa incomprensione, se si pensa che anche molti medici, che non abbiano un orientamento psichiatrico, difficilmente riescono a cogliere in un comportamento del genere, i sintomi di una vera e propria malattia. Dal racconto si evince quale sia stata la difficoltà di capire da parte di coloro che le erano d’intorno, a cominciare dai familiari e dal fidanzato che, nonostante gli alti e bassi, le è stato vicino fino a costituire un appiglio affettivo solido.
C’è da domandarsi come abbia fatto Martina a studiare, anche se non è riuscita a coronare il suo sogno di diventare medico. Ad aiutarla, a sorreggerla nei momenti peggiori, c’è stata la Fede, il forte sentimento religioso, a cui si è aggrappata disperatamente. Ed ora è capace di ringraziare il Doc, come dice il titolo del libro (Al mio doc, grazie! Vivere con un disturbo ossessivo compulsivo), perché la sofferenza, la lotta, il coraggio e la speranza, sono serviti per maturare e costruirsi le armi di difesa per annullare, o quasi, lo scomodo compagno di viaggio.
Bella infine anche la nota del marito Stefano a conclusione del libro, che è la testimonianza di chi ha partecipato intensamente alla rinascita di Martina, sorretto da un sentimento umano e soprattutto dall’amore. Avremmo desiderato che Martina non avesse avuto bisogno di scrivere questo libro, perché significava non avere attraversato un’esperienza come questa. Ora che l’ha fatto, dobbiamo apprezzare il suo coraggio, perché non è facile mettersi a nudo e soprattutto bisogna ringraziarla per l’incoraggiamento a lottare che da a coloro che attualmente vivono la sua stessa esperienza.