di Giacomo Bini
maggio 2011
Da quando è scomparso, il 2 novembre del 2009, a soli 44 anni, Paolo Perugi ha lasciato un grande vuoto nella comunità montalese. Perché ci manchi tanto non è difficile spiegarlo. Non è soltanto per i suoi meriti di calciatore professionista, che ha dato lustro al paese. Per Montale Paolo Perugi ha rappresentato molto di più: un amico, un simbolo positivo, da additare ai figli e ai nipoti. Era di quelli che lasciano il segno nell’animo della gente e non hanno bisogno di troppe parole, tantomeno di alzare la voce: gli bastava il sorriso e l’esempio. Per tutti è sempre restato, anche quando, da professionista affermato, vestiva maglie prestigiose, come quella della Fiorentina nel 1988-89, all’apice della sua carriera, in squadra con campioni del calibro di Carlos Dunga e Roberto Baggio. Mai una vanteria, mai un cenno di esibizionismo. Paolino ha conservato sempre quell’aria da ragazzino semplice, innamorato del pallone, che aveva quando da piccolo giocava nel campetto accanto alle scuole medie. Nella vita era come sul campo: sguardo dolce e tenacia da mediano di razza, corsa, entusiasmo e capacità di soffrire.
Per questo era ammirato da tutti e lo è stato anche nella malattia: un sarcoma osseo che l’ha colpito nel 2007, sottraendogli ciò che aveva di più caro, il piacere di correre sul prato verde. Lui ha resistito, non ha perso il sorriso, ha fatto vedere di che pasta è fatto un vero sportivo e un vero uomo. E di questo tutti gli siamo grati. Certe qualità morali sono innate, come il talento per il calcio. La sua carriera da professionista è iniziata a 18 anni, nel campionato 1983-84, in serie B con la Pistoiese.
Quella arancione è sempre rimasta per lui la maglia più amata <<ne ero fiero fino al midollo>> dichiarò in un’intervista e infatti dopo aver militato in altre cinque società tornò nella Pistoiese nel 1997-98 per vincere il campionato di serie C, forse la sua gioia più grande. In mezzo, tra le due esperienze in arancione, Perugi ha giocato nella Reggiana, poi, per un anno nella Fiorentina, e di nuovo nella Reggiana in B, nel Monza e nell’Alessandria in C1 e nella Torres di Sassari. Ovunque ha lasciato un ricordo entusiastico nei dirigenti, nei compagni e nella tifoseria, basti vedere le espressioni di cordoglio nel sito dei sostenitori della Reggiana al momento della sua morte. Negli ultimi anni della sua carriera ha militato anche nell’Aglianese, contribuendo a portarla in serie C. Aveva iniziato l’attività di allenatore, alla quale appariva predestinato per il carisma naturale, l’equilibrio e la competenza tecnica. Lo aveva fatto partendo dai ragazzi, nel settore giovanile della Pistoiese e poi nel Montale.
La malattia si rivelò nell’aprile del 2007 mentre era su un campo di calcio. Da allora ha disputato un’altra durissima partita, ma con lo stesso spirito delle tante che aveva nelle gambe. Gli amici che lo incontravano erano stupefatti della sua forza d’animo. Ai suoi familiari, l’amatissima moglie Stefania, i due figli Simone e Leonardo, ha dato tutto se stesso. Lottava per loro, come aveva sempre fatto. <<Ci hai dato tu la forza di andare avanti>> furono le parole di Stefania durante il funerale. La comunità di Montale in questi due anni ha voluto rendergli omaggio in molti modi.
E’ stato intitolato a Paolo Perugi il Campo Parrocchiale, su iniziativa del parroco don Paolo Firindelli e anche la Scuola Calcio della Polisportiva ’90. Nei giorni di Pasqua si è svolto il primo torneo internazionale Paolo Perugi con squadre allievi di livello europeo, tra le quali la Roma, lo Shakhtar Donetsk e la nazionale dell’Azerbajan. E ai tanti montalesi che guardavano le partite è sembrato di vedere, tra i ragazzi in campo, un terzino che volava sulla fascia e non mollava mai.