di David Colzi
dicembre 2019
«E’ una storia d’amore la cucina. Bisogna innamorarsi dei prodotti e poi delle persone che li cucinano», sostiene Alain Ducasse, famosissimo cuoco e imprenditore francese. A quanto pare Luca Torracchi e Chiara Di Mauro lo hanno preso in parola, in quanto ai fornelli si sono conosciuti e innamorati, diventando coppia nella vita privata e poi in affari.
Luca è montalese di Fognano e inizialmente cucinava per passione, mettendo a tavola parenti ed amici, forte anche degli insegnamenti di mamma Mila, ma poi un giorno ha deciso di cambiare vita e lavoro, e dopo 8 anni da falegname ha tentato la strada della ristorazione. Così è andato nel 2013 in Umbria, alla Chef Academy di Terni, per un corso intensivo di cucina dal quale è uscito col titolo di cuoco professionista, parificato a quello dell’Istituto alberghiero. Il percorso era diviso in sei mesi di studio professionale (otto ore al giorno fra pratica e teoria) e poi sei mesi di stage all’interno di un albergo 5 stelle, per capire come ci si muove sul campo con una divisa addosso, lavorando in una “brigata”. Luca ha potuto imparare da Maestri stellati quali Maurizio Serva, Iside de Cesare e Romano Gordini. Naturalmente a noi vengono subito in mente i reality di cucina di cui la nostra TV è piena, con i vari piatti gettati contro il muro e gli urli ai sottoposti in stile Carlo Cracco o Gordon Ramsay; quindi chiediamo a Luca se è tutta finzione. Il nostro concittadino ci fa capire che un minimo di verità in effetti c’è, così come è vera l’impostazione “militaresca” delle cucine, in quanto durante il servizio tutti devono lavorare all’unisono senza inceppare l’ingranaggio. Quindi le gerarchie esistono e gli chef sono i “generali di brigata”.
E sui banchi di scuola, come abbiamo accennato all’inizio, è scoccata anche l’amore fra Chiara di Mauro, di origini siciliane, e il nostro Luca. Così, dopo aver terminato entrambi il corso a Terni, e dopo un breve trascorso lavorativo a Perugia, hanno deciso di intraprendere insieme l’avventura imprenditoriale del ristorante di pesce Sq’Amami, aprendo a Pistoia nella centralissima via Panciatichi. Inizialmente erano entrambi in cucina, ma poi si sono divisi i compiti e Luca ha iniziato a presenziare la sala. Ma quando è arrivata la gravidanza, i ruoli si sono invertiti e Chiara è rimasta a servire ai tavoli finché il pancione glielo ha permesso. Dopo la nascita di Francesco c’è stato un anno di transizione, ma dal 12 settembre il locale ha riaperto con il menù rinnovato da Luca e ne abbiamo approfittato per entrare cucina, e capire come si manda avanti un ristorante.
D’altronde, noi che ci sediamo a tavola ed ordiniamo, spesso non sappiamo nulla, non solo di cosa accade dall’altra parte del bancone, ma anche di quanto lavoro ci vuole per arrivare a servire una pietanza. Luca inizia spiegandoci che la sua routine prevede tre volte alla settimana una sveglia alle sei del mattino per andare a fare la spesa al mercato e ogni giornata si conclude sempre dopo la mezzanotte, quando contatta i fornitori le cui barche rientrano dopo una giornata in mare; in questo modo capisce che tipo di pescato arriverà il mattino seguente. Partendo da qui, il nostro Chef precisa che l’80% del pesce di Sq’Amami proviene dal Mediterraneo, con predilezione per quello che arriva dalle coste toscane. Tornando alla mattina, un altro appuntamento fisso è quello che prevede la creazione dei vari tipi di pane da offrire ai clienti, diversi ogni giorno. Oltre a questo c’è da spianare la pasta fresca, realizzare tutte le creme e le polverine alimentari per le decorazioni, che non vengono mai acquistate fuori. Persino gli infusi alle erbe nascono dalla fantasia di Luca e del suo staff. Insomma alla fine, la vostra cena è stata realizzata in un giorno intero di lavoro e ciascuna ricetta ha richiesto 6 o 7 preparazioni.
Sempre parlando con il co-titolare di Sq’Amami, apprendiamo che la regola d’oro della ristorazione è di ridurre al minimo gli sprechi (che poi sarebbe una buona pratica da adottare anche a casa), quindi, parafrasando, il guadagno per un ristorante è proporzionale a quanto è vuoto il bidone dell’umido. Qui, trattandosi di pesce, una testa può diventare la base per un brodo che servirà a cucinare, oppure le bucce dei mandarini con i quali si realizza un sorbetto, possono diventare l’aroma per un digestivo di fine pasto da servire ai clienti. Con questa filosofia, Sq’Amami può proporre piatti di alta qualità, al giusto prezzo.
Un pesce sottovalutato?
«Tutto quello azzurro delle nostre coste è ottimo e poco valorizzato» ci dice Luca; «pensiamo ad esempio a quanti piatti si possono realizzare con delle semplici ed economiche alici».
A casa chi cucina?
«Cuciniamo poco entrambi, visti gli impegni. Siamo come il calzolaio che va in giro con le scarpe rotte…»
Una curiosità: nel suo ristorante si può fare la “scarpetta” nel piatto?
«Si deve! Quando questo avviene, e da noi per fortuna accade spesso, è il miglior complimento che possiamo ricevere».
Quindi clienti soddisfatti; ma qual è stato il commensale più difficile da accontentare?
«Mia mamma» conclude sorridendo Luca Torracchi.