di David Colzi
marzo 2021
C’era una volta un lago… Potrebbe essere questo l’incipit del nostro racconto sull’origine della nostra Piana e del suo rapporto, spesso difficile, con l’acqua. Tutto iniziò circa 600.000 anni fa, quando l’attuale Mar Ligure raggiungeva i bordi occidentali del Montalbano, dei monti del Chianti e del versante orientale della Val di Chiana, e iniziando a ritirarsi, creò vari laghi in Toscana: uno di questi si formò proprio qua, fra il Montalbano, Signa, il Monte Giovi e le prime colline del Chianti. Ebbene sì, dove oggi camminiamo, hanno nuotato i pesci per migliaia di anni! Questo nei tempi passati, ha alimentato leggende bizzarre: c’è chi dice che alcune chiese della Piana, soprattutto quelle nelle zone collinari, hanno al loro esterno degli anelli metallici, non perché in antichità vi si legassero i cavalli… ma le barche. Suggestivo, ma assolutamente falso. Invece sulle rive di questo lago, in un clima temperato, pascolavano animali enormi come elefanti, i cui frammenti ossei sono oggi conservati nei musei. L’emissario verso il mare di questo invaso era l’attuale fiume Arno. L’unico punto dove il lago si svuotava era la stretta della Gonfolina nei pressi di Signa, alta all’incirca 50 metri. L’acqua nei periodi estivi stagnava, mentre nei periodi piovosi fuoriusciva dalla stretta, riversandosi nel vicinissimo mare, allora situato nei pressi di Empoli. Non stupisce quindi che esista una frazione di Lastra a Signa denominata “La lisca” e che debba questo nome proprio ad un osso di balenottera murato sulla facciata di una casa.
Circa 100.000 anni fa, iniziò il prosciugamento del bacino, e questo lo si deve a diversi fattori: il primo è l’aumento del corso dell’Arno, che si allargò sensibilmente a causa dell’incremento del volume d’acqua del lago, avvenuto perché il vicino invaso del Valdarno strabordò nella nostra Piana a seguito di smottamenti tettonici. Come se non bastasse, le acque dell’emissario aumentarono la loro forza per l’arretramento ulteriore del mare. Sempre questo fiume deve aver contribuito, con la sua opera di erosione, a creare l’enorme spaccatura all’altezza del masso della Gonfolina: un enorme macigno di arenaria che si estendeva oltre la riva opposta dell’Arno, unendosi al Montalbano nel punto dove i rilievi collinari si fanno prossimi al corso del fiume su entrambe le sponde. La sua rottura diede quindi un grande contributo al deflusso delle acque. Anche su questo evento le leggende si sono sprecate: c’è chi sostiene che ciò sia avvenuto grazie all’opera degli Etruschi o dei Romani, che spaccarono il masso con la forza delle braccia al fine di rendere la zona colonizzabile. E’ chiaramente un’inesattezza storica, che però poggia la sua convinzione sul fatto che nel 1895, lo storico Antonio Ricci, formulò questa ipotesi in un suo scritto.
Ai Romani si deve invece la prima significativa opera di bonifica della zona, o almeno di una sua parte, in quanto fecero opera di canalizzazione e resero l’area fra Montale a Agliana abitabile. Crearono inoltre agglomerati urbani, dividendo il territorio in centurie e costruendo case coloniche, come ci suggeriscono i reperti ritrovati negli anni ’80, attestabili intorno al 150 a.C. Nonostante questo, lo studioso pistoiese Natale Rauty, ha sottolineato che certi toponimi locali, come “Selva” e “Ronco”, lasciano intuire che ancora tra XI e XII secolo buona parte delle nostre terre fossero dominate da foreste e fitta vegetazione. Nel 467 d.C., con il crollo dell’impero Romano, quel che c’era di bonificato e abitabile ripiombò gradualmente nell’oblio; arrivarono le incursione dei popoli stranieri e i residenti si rifugiarono in collina. Gli acquitrini riconquistarono i dintorni e la zona tornò ad essere fondamentalmente malsana, e così rimase per tanto tempo.
D’altronde l’acqua da queste parti è sempre stata più nemica che amica, e se ne accorse persino il grande Annibale che nella sua discesa verso Roma, nel 217 a.C., una volta varcato il passo della Collina, si ritrovò tra Pistoia e Firenze impantanato nel fango con tutto il suo esercito, sorpreso dallo straripamento dei fiumi a causa delle abbondanti piogge primaverili. Furono giorni terribili per lui e i suoi soldati, basti pensare che in quell’attraversamento il condottiero cartaginese perse un occhio per un’infezione.
Per una nuova e significativa bonifica delle acque, ci toccherà aspettare i monaci, in particolare i Vallombrosani di Badia a Pacciana, che fra XI e XII secolo misero in atto un’organica ricanalizzazione della campagna pistoiese che durò per secoli; ad Agliana c’è il ponte a schiena d’asino di Pontalto a testimoniare il nuovo periodo di colonizzazione. Ma l’opera idraulica più grandiosa del nostro Medioevo ce la suggerisce il Rauty, e fu la deviazione della Bure e della Brana ad opera del Comune di Pistoia, per spaludare la pianura, preservandola dai continui allagamenti. Si legge in “Agliana dalle origini all’età comunale”: “Originariamente la Bure, dopo il suo sbocco nella pianura nella zona di San Rocco, proseguiva verso sud lungo un percorso segnato ancor oggi dalla via detta «Bure Vecchia», per immettersi poi nell’Ombrone a sud di Pacciana, dopo aver ricevuto sulla destra le acque della Brana (…) il Comune di Pistoia (…) deviò sia la Bure che la Brana in due alvei artificiali arginati, con andamento parallelo all’Ombrone. Come collettore del nuovo sistema fluviale fu utilizzato il corso inferiore dell’Agna, anch’esso deviato verso levante ed arginato, e chiamato d’ora in poi «Calice» (…) Con questa complessa opera di regolazione fluviale, condotta tra il XII ed il XIII secolo, tutti gli affluenti di sinistra dell’Ombrone, Brana, Bure, Agna, furono riuniti in un unico collettore che scaricava direttamente nell’Ombrone a Bocca di Calice”.
Eppure, dopo circa 800 anni da quell’immane opera di ingegneria idraulica, siamo ancora qui a parlare di sicurezza idraulica, di casse di espansione e di allagamenti ricorrenti, segno che la natura non è così facile da domare.
Per la consulenza storica, si ringrazia Bruno Tempestini, “Ispettore Onorario per i Beni Archeologici per i Comuni di Agliana, Montale, Quarrata e Montemurlo”.