Alvaro Petracchi – Il “Sartino” di Olmi

Alvaro Petracchi – Il “Sartino” di Olmi

Introduzione Giancarlo Zampini. Intervista David Colzi

marzo 2009

Se è vero – e non ci sono dubbi – che la storia la fanno gli uomini, Alvaro Petracchi, conosciuto come “Il Sartino di Olmi”, ha contribuito parecchio a fare quella di Quarrata. Ago e filo, filo e lana, mani fatate, lo hanno portato a realizzare abiti per tanti personaggi dello sport e della cultura. Ma Alvaro è conosciuto anche per “L’ombrellone della sapienza”, quello che ogni anno affittava al mare, dove si riunivano artisti di ogni genere ed amanti del bel canto. E’ ancora Alvaro a possedere i cani da caccia più belli – e bravi – del pistoiese; ancora lui a portare gli amici all’Arena di Verona o al “Maggio” Musicale Fiorentino per gli amanti della lirica. Dimenticavo: Alvaro è un grande tifoso dell’Inter, ed amico di tutti. Personalmente lo ringrazio per avermi fatto conoscere fior di personaggi. Lunga vita Alvaro.

Ci parli della sua passione per la sartoria…

La passione è stata trasmessa da mio padre. In famiglia erano cinque fratelli, tutti sarti. Ognuno di questi ha avuto dei figli ed anche loro sono diventati sarti; poi col passare del tempo, alcuni dei miei cugini hanno abbandonato ago e filo per dedicarsi ad altre attività commerciali, mentre io sono stato tra quelli che ha deciso di continuare l’attività di famiglia. A tutt’oggi sono rimasto l’ultimo sarto Petracchi.

La prima soddisfazione professionale?

Ero giovanissimo, pensi che avevo solo dodici anni. All’epoca venne fatta una mostra di sartoria a Vignole di Quarrata ed io vinsi il primo premio. Fu allora che il mio babbo si convinse delle mie capacità, infatti mi mandò in diverse sartorie di Prato e Pistoia per affinare la mia tecnica e mi fece lavorare nel laboratorio che avevamo in casa. Col passare del tempo ho fatto anche due scuole di taglio; una volta terminate ho deciso di mettermi in proprio, aiutato da mio padre. Lavorando tutti i giorni in bottega, ho dato vita ad un mio stile personale.

Quando si è messo in proprio?

Se non sbaglio era sul finire degli anni ’50 ed io avevo una ventina di anni. All’epoca la situazione dei giovani era un po’ diversa da oggi. Se prende ad esempio il mio lavoro, ci sono voluti anni di studio e pratica, prima di vedere i primi risultati e soprattutto i primi guadagni. Forse anche questo scoraggia i giovani ad intraprendere questo lavoro, anche se bisogna ammettere che oggi, con i mezzi che ci sono anche a livello industriale, è più facile imparare la sartoria.

Che caratteristiche deve avere un buon sarto?

Certamente i sarti di oggi devono avere una maggiore tecnica, rispetto a quelli della mia generazione. Noi avevamo un approccio molto più artigianale e di volta in volta ci dovevamo inventare le soluzioni dei problemi, sui capi che cucivamo o rattoppavamo. Io ci tengo a non confondere il mestiere del sarto con quello dello stilista… secondo lei quanti stilisti sanno cucire? Io credo in pochi, anche perché il loro lavoro è legato alla progettazione del capo di abbigliamento, mentre noi sarti dobbiamo saper fare entrambe le cose, cioè mettere insieme idee e cucito, tenendo sempre presenti le esigenze di ciascun cliente. Un buon sarto che vuol mettere su bottega deve avere queste caratteristiche.

Quali personaggi famosi ha vestito?

Ho servito molti sportivi, tra i quali il ciclista Francesco Moser, a cui ho avuto il piacere di cucire, fra gli altri, il vestito del matrimonio. In ambito calcistico, ho servito l’arbitro italiano Sergio Gonnella, e molti dirigenti di calcio a livello locale e nazionale, che nel corso degli anni sono passati più volte nella mia bottega. Come esponenti della cultura, ho lavorato per l’artista Bruno Saetti, per lo scultore internazionale Igor Mitoraj, per il pittore Gastone Breddo ed anche per i miei amici Alfredo Fabbri e Marcello Scuffi. Il bello del mio lavoro, è che mi ha permesso di passare ore intere con questi grandi protagonisti, e tra un taglio ed un cucito, ho potuto approfondire la loro conoscenza.

Direi di continuare a parlare di cultura, visto che dimostra interesse per l’Arte…

In effetti fin da ragazzo ho avuto questa passione ed in particolare per il disegno… le dirò che avevo anche una “buona mano”. Fu mio padre a convincermi che il mondo dell’Arte era poco sicuro come fonte di reddito ed era meglio che trovassi un lavoro sicuro, che mi permettesse di vivere. Oggi dopo tanti anni, devo ammettere che aveva ragione…

Qualcuno mi ha detto che un’altra sua passione è la lirica…

Anche in questo caso devo tutto a mio padre, grande esperto di musica. Io sono cresciuto ascoltando le opere interpretate dai migliori cantanti, quindi è stato abbastanza naturale continuare per tutta la vita a seguire questa passione. La prima opera che ho visto è stata la Bohème a Pistoia; erano gli anni ’30 e fu mio padre a portarmi. Ricordo che partimmo da Quarrata in bicicletta; lui pedalava ed io stavo seduto sulla canna. Da adulto sono stato tante volte alla Scala di Milano, al Comunale di Firenze, all’Arena di Verona. A Firenze ho fatto amicizia con il tenore Mario Del Monaco, uno dei più grandi interpreti di sempre. Ero uno dei pochi “non addetti ai lavori” che aveva il privilegio di andarlo a trovare in camerino dopo ogni spettacolo.

Rimanendo in tema di grandi interpreti, so che è amico del tenore Lando Bartolini…

Lando è una persona meravigliosa, ed uno dei migliori tenori in circolazione. Non ho mai capito il motivo per cui la critica ufficiale non gli ha tributato gli onori che merita. Non fraintenda, lui ha cantato in tutto il mondo e nei maggiori teatri; nonostante questo, secondo me, non è stato valorizzato abbastanza. Pensi che debuttò alla Scala di Milano con Ernani di Giuseppe Verdi: tenga presente che questa è un’opera difficilissima da cantare e pochi tenori ci hanno provato. Un’altra grande performance la realizzò a Vienna, dove non tutti hanno il coraggio di andare, perché i viennesi sono un pubblico esigentissimo; non a caso si dice che Vienna è “la capitale della musica”. Invece quando è stato a Massa Carrara per mettere in scena l’Otello, i critici affermarono che era dai tempi di Del Monaco, che non ascoltavano un’interpretazione di tale qualità.

Passiamo dal sacro al profano. E’ vero che lei è tifoso di calcio?

Io sono un interista sfegatato! La mia passione è nata quando ho incontrato Enzo Bearzot e Roberto Boninsegna. Entrambi sono passati nella mia bottega per farsi cucire dei vestiti e da allora non ho mai smesso di tifare… Nella vita ho cambiato tante cose, ma la passione per l’Inter è rimasta invariata. (sorride) Voglio aggiungere che ho avuto anche un’altra grande passione: l’Archeologia. Tra gli anni ’80 e ’90 ho fatto parte del “Gruppo Archeologico di Artimino” interessandomi di civiltà etrusca e romana.

La nostra rivista si occupa di Quarrata; per lei cosa significa questa città e la sua gente?

Io ho passato tutta la mia vita a Quarrata, per questo tengo molto alla nostra città. Purtroppo negli anni questa comunità ha perso molte occasioni per rinnovarsi, soprattutto nell’urbanistica. Io credo che questo sia uno dei motivi per cui la città ha perso il suo primato come capitale del mobile toscano. Poi questa zona ha da sempre una scarsa attrattiva culturale; in poche parole non ci sono molti poli d’attrazione, sia per i giovani che per gli anziani.

 

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